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CHICCO TESTA: assoelettrica, giù i consumi, accelerare la ripresa eliminando gli ostacoli

Enrico (Chicco) Testa, presidente di Assoelettrica

Laureato in Filosofia nell’Università Statale di Milano, Enrico Testa, detto Chicco, dal 1980 al 1987 fu segretario nazionale e poi presidente di Legambiente. Guidò la mobilitazione ambientalista dopo il disastro di Chernobyl, culminata nella manifestazione anti-nuclearista del 10 maggio 1986 a Roma cui parteciparono 200 mila persone. Fu una svolta contro il nucleare: per il referendum furono raccolte oltre un milione di firme. Eletto alla Camera dei deputati per due legislature nelle liste del Pci nel 1987 e del Pds fino al 1994, presentò varie proposte di legge tra cui: attribuzione alle associazioni di protezione ambientale della vigilanza su reati ambientali; anagrafe generale delle sostanze inquinanti; prevenzione, controllo e informazione su ricerca, sperimentazione e produzione di materiale genetico; valutazione d’impatto ambientale; trasferimento del Corpo Forestale al Ministero dell’Ambiente. Dal 1994 è stato presidente di Acea ed Enel, consigliere di amministrazione di Wind, terzo operatore mobile italiano, e del Gruppo Riello, presidente dell’Agenzia per la Mobilità e della Roma Metropolitane entrambe del Comune di Roma, del Kyoto Club. È presidente di Telit Communications e di EVA Energie Valsabbia, che costruisce impianti idroelettrici e solari e vicepresidente di Idea Capital Funds e di Intecs. Ha partecipato ad organismi internazionali: Expert Advisory Committee dell’European Carbon Fund; European Advisory Board del Gruppo Carlyle e del Board and Management della Mediterranean Oil & Gas, attiva nell’esplorazione e produzione di idrocarburi nel Mediterraneo; presidente del Comitato organizzativo del 20esimo Congresso mondiale dell’energia svoltosi a Roma nel 2007. Ha insegnato nelle Università di Macerata e Napoli e nella Scuola di Management della Luiss, anche come responsabile del corso in Economia e Management delle imprese di servizi di pubblica utilità. Ha scritto il libro «Tornare al nucleare? L’Italia, l’energia, l’ambiente». Dal 5 luglio 2012 è presidente di Assoelettrica.

Domanda. È vero che i periodi di crisi economica e produttiva sono più stimolanti per lo sviluppo dell’economia?
Risposta. Se vogliamo vedere un aspetto positivo sì, ma sono sempre tempi di crisi. Mentre stavamo elaborando la dichiarazione dei redditi dell’anno scorso, mi ha assalito l’angoscia perché operiamo in un settore che risente subito delle difficoltà che si manifestano nel mondo. Per di più a mio parere la ripresa e la soluzione dei problemi sono ancora lontane. Se non avessimo subito l’esplosione del debito pubblico negli anni 80, probabilmente non avremmo avuto la crisi attuale perché sono trent’anni che la nostra economia non cresce veramente e abbiamo speso centinaia di miliardi di vecchie lire per opere pubbliche che hanno drogato il mercato.

D. Le crisi non si risolvevano subito con gli investimenti in opere pubbliche?
R. Certo, basta pensare alle spese per le Olimpiadi di Roma del 1960 e la costruzione di autostrade negli stessi anni. Da quando tutto ciò è finito, i nostri governanti non sanno cosa fare per far fronte alle scadenze di bilancio nei prossimi anni. Il Premio Nobel 2008 per l’economia Paul Robin Krugman ha scritto che bisogna imparare e abituarsi a vivere in una situazione di stagnazione generalizzata dell’Occidente. Cioè che non si cresce più per cui egli consiglia il ricorso al debito pubblico, ma dimentica che in Italia su di esso prima di tutto bisogna pagare gli interessi in misura di 70-80 miliardi di euro l’anno, sottratti agli investimenti. Abbiamo quindi un handicap rispetto agli altri Paesi.

D. Quindi occorrerebbe aumentare la spesa pubblica?
R. Per fare che cosa? Per farla ingoiare da questa macchina infernale che è lo Stato italiano? Ogni tanto partecipo a trasmissioni televisive nelle quali tutti accusano la casta, i suoi privilegi, la corruzione dello Stato ecc. Anche con molte ragioni, dopodiché dicono che occorre aumentare la spesa pubblica. Allora io domando: «La spesa pubblica chi la fa, e a chi si dà? Alla casta di cui parlate?».

D. Ma la crescita c’era, il debito pubblico aumentava in termini nominali ma veniva via via svalutato e ridotto dall’inflazione. Era una grande illusione quella che favoriva il benessere della gente?
R. Oggi le politiche europee sono focalizzate su energia e ambiente, una somma di richieste dai costi esorbitanti. I tedeschi si danno obiettivi che chiederanno anche per l’Europa, con la differenza che il loro bilancio forse li può sopportare, il nostro no. Come faremo a ridurre il deficit, a colmare il debito pubblico di decine di miliardi di euro all’anno? Dove andremo a trovarli, mentre nello stesso tempo dobbiamo adottare politiche avanzate, sull’esempio della Germania, in campo energetico, sociale e ambientale?

D. Quando ognuno di questi Paesi operava per conto proprio, aumentava il prodotto interno e il reddito globale. Adesso a chi va la ricchezza prodotta da tutti i Paesi dell’Unione Europea? Possibile che tutti siamo in perdita?
R. Non tutti. Vi sono differenze evidenti tra il Nord e il Sud dell’Europa. I primi hanno un debito pubblico minore e quindi maggiori possibilità di manovra nel bilancio. Se li confrontiamo con l’Italia o la Francia, aumenta di più la loro produttività, unico modo per creare ricchezza in quanto consente maggiori esportazioni. La nostra situazione deriva dall’inefficienza complessiva del sistema che influisce sulle sue risorse finanziarie e sulla mancanza di miglioramento. Inoltre i disavanzi dei bilanci commerciali favoriscono alcuni Paesi rispetto ad altri. Quando una famiglia, un’impresa, un gruppo cominciano ad andare male, si cerca subito un capro espiatorio, e ognuno trova il proprio. Adesso tutta l’Italia indica la Germania, e in parte è vero, però ritengo che sia soltanto una grande ricerca del capro espiatorio.

D. La formula per la ripresa economica sarebbero maggiori investimenti ma dal privato sicuramente non vengono, e neppure dallo Stato. Inasprendosi ancora di più la crisi, non potrà innescarsi la ripresa secondo le stesse leggi dell’economia?
R. Quando si tocca il fondo, per forza si deve risalire, ma il problema è dove sta il fondo. Non ho una ricetta per la ripresa, ma vedo atteggiamenti che la rendono impossibile, sono quelli che indichiamo da anni ma sui quali è concentrata pochissimo la nostra attenzione. 800 miliardi di spesa pubblica sono tanti, ma in relazione a che cosa? In relazione al nostro prodotto interno? Se noi avessimo un aumento del prodotto interno del 50 per cento, sarebbe sopportabile quella somma ed altro, come la pressione fiscale. Mi capita di imbattermi con molti potenziali investitori stranieri e italiani che hanno progetti che non vanno in porto per le solite ragioni che conosciamo. In primo luogo la burocrazia e l’assetto istituzionale. Ma non dobbiamo prendercela con i burocrati, perché è l’eccesso di regole che abbiamo introdotto che conferisce loro un potere. In secondo luogo c’è il sistema fiscale: se ho la possibilità di portare capitali in un Paese in cui, come impresa, pago tasse pari al 20 per cento del reddito, perché devo investirli in un Paese dove pago il 70 per cento? E non è solo l’ammontare, ma anche le complicazioni del sistema fiscale.

D. Come giudica il fisco?
R. Sono il presidente di una società quotata in Borsa che ogni mese ha problemi con il fisco, che poi si risolvono a nostro favore, ma nel frattempo abbiamo speso tempo e soldi in avvocati e ricorsi. Terzo ostacolo è la legislazione sul lavoro. Se mi dicono che un dipendente non lavora e va licenziato, per licenziarlo devo prima averlo assunto; non sono un sadico che assume persone per poi licenziarle, ma perché ne avevo bisogno; se devo licenziarlo il fallimento è mio. Quarto ostacolo, la magistratura. So che dico una frase non «politically correct», ma in un caso di incidente mortale in uno stabilimento non si può condannare un amministratore delegato per omicidio volontario, come se avesse premeditato di uccidere quella persona. Si può imputarlo di omicidio gravemente colposo, condannarlo alla reclusione, ma leggere sulla stampa internazionale che l’amministratore delegato di una multinazionale è stato giudicato colpevole di omicidio volontario è un vero paradosso.

D. Come cambiare la situazione?
R. Molte riforme potrebbero farsi a costo zero. Il mio slogan è «Date la possibilità agli italiani e alle imprese italiane di lavorare». Sembra invece che si possano aprire solo ristoranti, non si parla di estrazioni petrolifere, di centrali a combustibili fossili, di energia da fonti rinnovabili come biomasse ed eoliche; non si possono fare strade e ferrovie. Abbiamo, certo, la bellezza, ma se uno ha ereditato un castello, e in Italia ve ne sono tanti, come mantenerlo? Lo stesso vale per Pompei, non abbiamo tutte quelle risorse finanziarie per metterla a reddito, ed anche se le avessimo, dovevamo investirle prima. Uno dei musei italiani più visitati ricava il 25-30 per cento dei costi dalla vendita dei biglietti, mentre a Londra si paga il biglietto anche per vedere la chiesetta più piccola.

D. Che suggerirebbe di fare ai politici lei che è stato anche un politico?
R. Rimuoviamo gli ostacoli che non hanno costi, ma che dipendono dalle nostre inettitudini, tra cui le regole di un fisco elevato e soprattutto rapace e persecutorio.

D. Qual è la situazione energetica?
R. L’energia è una variabile dipendente dello sviluppo economico ed è anche una condizione e una causa di esso. Siamo sempre stati un po’ malmessi perché l’energia italiana costa di più rispetto a quella degli altri Paesi per cui, anziché un fattore di crescita, rischia di limitare la competitività delle imprese italiane. Siamo tornati a consumare l’energia che consumavamo nel 2002-2003, e la perdita del 10 per cento del prodotto interno si è riflessa anche sui consumi energetici. Abbiamo una serie di oneri fissi che non dipendono dal consumo, come gli incentivi alle fonti rinnovabili pari a 12 miliardi di euro, pagati in bolletta dagli utenti su un consumo sia di 100 sia di 10. Se diminuiscono i consumi di energia, diminuisce la base imponibile alla quale accollare questa somma, quindi ciascun utente si trova a pagare una quota maggiore. Il risultato è che i cittadini devono pagare mentre le imprese, quando sono assoggettate a pagare una quota insormontabile, chiudono o si trasferiscono in un altro Paese. E se hanno più siti produttivi, il primo che eliminano è quello italiano. Quindi siamo in una situazione molto difficile, con impianti che non lavorano le ore sufficienti per ripagare l’investimento e talvolta nemmeno i costi operativi. Con effetti regressivi notevoli, meno sviluppo, meno progresso e soprattutto meno occupazione e meno produzione.

D. Le prospettive quali sono? Sono possibili progressi tecnologici che riducano i costi?
R. Le prospettive sono strettamente legate alla possibilità di una ripresa economica. L’unico elemento positivo è la speranza di aver toccato il fondo. C’è qualche segno di ripresa, la decrescita sta rallentando, ma questo si vedrà nei prossimi mesi. I cosiddetti progressi tecnologici verificatisi in questi anni hanno aumentato enormemente i costi, perché le fonti rinnovabili, che rappresentano un progresso tecnologico, sono più costose di quelle tradizionali. Nel mondo l’energia si fa con il carbone e la lignite, con cui la Germania produce più del 50 per cento dell’energia; noi con il carbone siamo al 14 per cento. Dal punto di vista del costo, produciamo la maggior parte di energia elettrica con il gas, con il sole, con l’acqua. Tranne quest’ultima, le altre sono fonti costose. Continuiamo a lamentare che l’energia costa tanto, è perché facciamo di tutto per farla costare così. Possiamo produrla con il carbone a 4 centesimi, con il gas a 8, con il solare a 30. Spero che, con un consistente aumento dei consumi elettrici, i maggiori costi si spalmeranno su di essi.

D. Quali investimenti state facendo?
R. Tra il 2000 e il 2010 abbiamo rinnovato l’intero parco termoelettrico italiano, per il quale, insieme alle fonti rinnovabili, abbiamo investito 100 miliardi di euro. Con questi investimenti la nostra componente termoelettrica ha ridotto il costo dell’energia, mentre nell’altro comparto esso è aumentato. Con la mano destra abbiamo disfatto quanto fatto con la sinistra. Non vi sono progressi tecnologici veri e propri, si può fare qualcosa nel miglioramento del sistema di connessione per rendere l’energia più facilmente trasportabile. L’idroelettrico è tutto sfruttato e non si può più fare nulla; il nostro parco termoelettrico è tra i migliori d’Europa.

D. La classe politica, che dovrebbe orientare i consumi e le abitudini della popolazione, che cosa ha fatto?
R. A vedere il modo in cui si atteggia nei confronti dell’elettorato e del Paese, è fatta da tutte mamme che dicono: «Avete ragione, dobbiamo investire di più nella sanità e nella scuola, bisogna migliorare le pensioni, curare gli handicappati, bisogna, bisogna», cioè tutti propongono di dare. Sono stato parlamentare e ricordo che quando si discuteva la Finanziaria, stavamo tre mesi in aula a votare, e tutti gli emendamenti puntavano ad aumentare la spesa pubblica, come se lo Stato fosse un serbatoio immenso da cui si poteva attingere senza problemi. Dopodiché ogni tanto bisognava chiamare il papà, che negli ultimi vent’anni fu Giuliano Amato e che nel 1992 fece «la manovra». Quando arrivano i padri e sistemano un po’ la situazione, le mamme li invitano a togliersi di mezzo. Dopo Amato abbiamo avuto Azeglio Ciampi, Lamberto Dini e ultimamente Mario Monti. Ora sembra che un problema dell’Italia siano gli esodati; è un caso delicatissimo, ma prima bisogna trovare i soldi per far ripartire il Paese. Chi si preoccupa di situazioni particolari è una madre, ma manca il padre, che dà alla madre le risorse per potersi occupare dei figli. La classe politica italiana è nata e cresciuta con il debito, non riesce a pensare altrimenti.

D. Oggi la classe politica pensa solo a risolvere i suoi problemi personali?
R. Durante la mia esperienza di parlamentare dal 1987 al 1994 c’erano i grandi furori ideologici di comunisti, democristiani ecc., ma l’obiettivo alla fine era la spartizione del bottino non per se stessi, ma per i propri elettori. Ho l’impressione che esiste una crisi di sistema perché siamo come un corpo malato che ha perso i meccanismi di autoriparazione. Non si riesce a trovare un punto d’appoggio da cui ripartire, non abbiamo la classe politica, la legge elettorale, l’assetto istituzionale. Abbiamo trovato un punto d’appoggio in questo presidente della Repubblica, ma tutto quello che ha messo in campo si è dimostrato inefficace, e sembra aver esaurito il proprio campionario. Non so da dove cominciare, vediamo come si comporterà Matteo Renzi, ma anche lui si fa molte illusioni, è convinto che da qualche parte ci sia la stanza dei bottoni. Pietro Nenni disse una volta che era entrato nella stanza dei bottoni, ma i bottoni non c’erano.  

Tags: Gennaio 2014 energia energia elettrica elettricità

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