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Barbara Capone: striscia di Gaza, così Sunshine4Palestine porta luce, sostenibilità, indipendenza

Barbara Capone,  presidente di Sunshine4Palestine

Sunshine4Palestine sin dal nome si ripropone di portare luce alla Palestina, nel vero senso della parola: attraverso il sole. Fotovoltaico. Pannelli solari per illuminare strade e un ospedale che deve essere operativo ogni giorno, in ogni momento, senza soluzione di continuità, in luoghi in cui l’emergenza è regola. Progetto internazionale che nasce dall’impegno di Barbara Capone, Dipl-Ing Haitham Ghanem, Ivan Coluzza, Clive Bower, Marina Manca, Amjad Alshawwa, Paolo Federico, Giuseppe Del Vecchio, Valentina Lupi, Manuela Bianchi, Peter Van Oostrum, Eng. Ahmed Adel Alghannam, Tatiana Giovanetti, è formalizzato in una organizzazione non governativa, dal 2011 impegnata a «piantare semi per un futuro creativo e sostenibile che promuova l’uso delle risorse di energia rinnovabile per migliorare l’area nell’ottica di uno sviluppo pacifico di quelle terre».
Quelle terre sono 360 sfortunati chilometri quadrati al centro del conflitto israelo-palestinese: governata dal movimento di Hamas per conto del governo palestinese, la Striscia di Gaza è occupata da Israele che ne opera un blocco su tutte le sue frontiere, sebbene dal 2012 l’Onu la riconosca formalmente parte dello Stato di Palestina.
Con Sunshine4Palestine, a novembre del 2014 Stefano Bollani ha impiegato le sue mani pianistiche per illuminare l’ospedale di Jenin, città della Cisgiordania, capoluogo del governatorato di Jenin, situata 26 km a nord della città di Nablus, con un grande concerto (sold out) al Teatro Argentina di Roma. Oggi è il turno delle mani del fisarmonicista francese Richard Galliano, operative nella serata benefica dell’11 febbraio nel medesimo Teatro. Virtuoso della fisarmonica e del bandoneon, compositore, spazia in tutti i campi musicali, dalla classica al jazz; dotato di una rara polivalenza, Galliano ha registrato più di 50 album a suo nome e ha lavorato con numerosi artisti di fama mondiale, come Astor Piazzolla, del quale è un colto interprete. I proventi del suo live saranno devoluti alla realizzazione di circa 1 km di illuminazione fotovoltaica con sistema stand alone e luci a led nel quartiere di al Zannah, una zona rurale della «buffer zone» a Gaza, severamente colpita durante le operazioni militari «protective edge».
Presidente di Sunshine4Palestine è Barbara Capone: fisico teorico, laureata in Italia, poi dottorato in Inghilterra (Cambridge) ed attualmente ricercatrice in Fisica all’Università di Vienna, specializzata in nanomateriali. Proprio alla luce della sua qualifica tecnica sta portando la sua conoscenza scientifica nel mondo dell’intervento umanitario studiando, assieme a un nutrito team di università internazionali, come creare sistemi di purificazione e produzione di acque potabili energeticamente sostenibili. Lo spiega qui.
Domanda. Come e perché siete arrivati nella Striscia di Gaza?
Risposta. Il progetto è nato dall’amicizia tra me e Haitham Ghanem, ingegnere attualmente project manager della nostra ong e presidente della branca palestinese dell’associazione. Nel 2011 Haitham ed io collaboravamo ad un progetto volto alla traduzione, controllo e successiva divulgazione di informazioni riguardanti la situazione nella Striscia di Gaza. Ci trovammo a discutere della situazione energetica nella Striscia che, a causa dell’embargo cui è sottoposta, ha accesso a un approvvigionamento energetico per sole poche ore al giorno, dalle quattro alle otto, per qualunque uso. Edifici pubblici, scuole, ospedali e via dicendo si trovano, infatti, ad avere pochissime ore di energia e a fronteggiare su base quotidiana le difficoltà di operare in assenza. Strutture ospedaliere sono aperte poche ore al giorno, soprattutto nelle aree più povere, limitando anche l’accesso al pronto soccorso, e la distribuzione delle acque costringe la popolazione ad accumulare acqua in container e a vivere nella penuria di acqua, o ad utilizzare acque saline e contaminate per le esigenze quotidiane, causando estremi disagi igienici, sanitari, alimentari. Dopo lunghe consultazioni, Haitham ed io decidemmo di utilizzare le nostre competenze tecniche per trovare una soluzione.
D. Qual’è stata la vostra idea di base?
R. Iniziammo il nostro percorso disegnando un primo impianto modulare e fotovoltaico per un ospedale, il Jenin Charitable Hospital, che serve l’area di Shijajia, una delle aree più povere della Striscia. Il nosocomio all’epoca era stato appena inaugurato e avrebbe potuto offrire i servigi alla popolazione anche grazie ad apparecchiature moderne, che erano state donate da varie ong, ma non poteva aprire i battenti per piu di 4/6 ore al giorno a causa della carenza energetica. Disegnammo un impianto modulare che potesse essere installato in fasi successive, cercammo agenzie di finanziamento e fondammo Sunshine4Palestine.
D. Dov’è nata l’associazione?
R. In Inghilterra, grazie al supporto di altri amici fisici, tecnici, ingegneri che decisero di unirsi a noi. Pian piano è cresciuta divenendo una ong, vincendo alcuni finanziamenti. Quello della fondazione Vik Utopia onlus ci permise di comprare i pannelli del primo modulo; poi grazie a una ricca collaborazione di artisti e intellettuali e ad una serie di eventi di raccolta fondi, potemmo concludere l’installazione dell’impianto sull’ospedale, struttura che ora è indipendente da ogni forma di approvvigionamento energetico esterno e, supportata esclusivamente dal nostro impianto fotovoltaico, si presta ad una popolazione di 200 mila abitanti per 17 ore al giorno.
D. Siete attivi con altri progetti?
R. Stiamo concentrando la nostra attività su alcune aree: nella Striscia di Gaza, oltre a monitorare costantemente il funzionamento del sistema fotovoltaico del Jenin Charitable Hospital, stiamo cercando fondi per intervenire nell’area di al Zannah, all’interno della municipalità di Bani Suhaila, con una tecnologia «green» ad alto impatto. Il progetto, in collaborazione con le ong Liter of Light e Acd, Associazione Cooperazione e Solidarietà, consiste in vari nodi da attuare nella «buffer zone»: convertire al fotovoltaico le pompe che provvedono alla produzione di acqua per la sua distribuzione a circa 700 famiglie, corrispondenti a 7 mila persone, per uso domestico e agricolo e per 10 ore al giorno; ripristinare gli orti domestici a favore di 10 famiglie di agricoltori, circa 100 persone, ognuno su uno spazio minimo di 350 metri quadri con una piccola serra di 45 metri quadri, oltre a un impianto di irrigazione a goccia, ad una piccola unità animale e a un’unità di compostaggio; implementare un sistema di lampade fotovoltaiche «stand alone» per l’illuminazione dei luoghi comuni; realizzare un chilometro di illuminazione fotovoltaica stradale nel quartiere di al Zannah, questo in particolare attraverso il supporto del fisarmonicista Richard Galliano.
D. Quale l’obiettivo «macro»?
R. Formare una struttura che potesse creare una sostenibilità non solo energetica ma anche di intervento. Il trasferimento di know-how, la creazione di punti sul territorio dai quali lavorare sul territorio con gli abitanti ed i recipienti finali, è sempre stata per noi un punto di focale importanza.
D. Il brasiliano Mario Quintana scriveva: il segreto non è prendersi cura delle farfalle, ma prendersi cura del giardino. Come?
R. La sostenibilità è una finalità a lungo termine: la progettualità di Sunshine4Palestine è per una ricostruzione razionale, in cui integrare sistemi di produzione energetica con energie «green» sul territorio, che non richiedano la ricostruzione completa di infrastrutture momentaneamente assenti o, se presenti, in pessime condizioni.
D. Questo per il giardino. Ma serve anche prendersi cura delle farfalle, ossia dare il know how. Come?
R. A breve si attiverà un progetto di divulgazione scientifica con il quale andremo nelle scuole di Gaza. In collaborazione con l’università statale Al-Aqsa, in particolar modo con il dipartimento di Fisica, formeremo gli studenti del corso di laurea affinché possano condurre una serie di esperimenti nelle scuole volti a sensibilizzare nel gioco i giovani su come semplici soluzioni di carattere scientifico possano portare a risoluzioni di problematiche contingenti e vissute sul quotidiano. Gli esperimenti saranno su acqua, luce e suono, insegneremo a creare batterie con materiale di riciclo, luci che possano funzionare indipendentemente da approvvigionamento energetico, sistemi che permettano di ottenere acqua in condizioni estreme, e strumenti musicali per unire allo stimolo della curiosità quello del gioco e dello svago. Creeremo installazioni permanenti che costituiranno i primi pezzi di quello che diventerà un museo della scienza costruito dai ragazzi per i ragazzi.
D. Solo nella Striscia di Gaza?
R. Stiamo estendendo l’attività al di fuori della Striscia, dove altre realtà associative ed ong richiedono la nostra expertise. Abbiamo ad esempio delle progettazioni in corso a Kobane, e stiamo iniziando a lavorare in Africa e in India.
D. Che struttura ha Sunshine4Palestine, chi sono i componenti attivi? Siete tutti volontari? Riuscite a conciliare la vostra vita lavorativa con questa attività?
R. La struttura è molto semplice: siamo un gruppo di persone, più donne che uomini e nella maggioranza dei casi al di sotto dei 40 anni, alle quali piace non solo discutere di futuri sostenibili in aree critiche, ma anche mettere in pratica tali idee in maniera creativa e «green». Poiché viviamo in città e Paesi diversi e poiché durante la vita di tutti i giorni siamo professionisti nei settori della fisica, dell’ingegneria, della comunicazione e del giornalismo, facciamo meeting in orari notturni e nella maggior parte dei casi non incontrandoci di persona. Siamo persone attive che sono sempre sostenute, di volta in volta, da tanti amici esterni. Il nostro lavoro è prettamente volontario, ma giacché crediamo nel riconoscimento dell’impegno, se un socio svolge un’attività specifica per Sunshine4Palestine che lo impegna quotidianamente viene regolarmente compensato.
D. Cos’è la «buffer zone»?
R. È una no-go area di confine che si estende tra la Striscia di Gaza ed Israele e dall’altro lato ha il mare. L’attuale estensione di quest’area rimane incerta poiché non è demarcata fisicamente. Al-Zannah si trova approssimativamente a due chilometri dal confine con Israele. Altra zona cuscinetto è stata creata lungo il confine con l’Egitto, isolando ancora di più la Palestina.
D. Lei si trova spesso nella zona?
R. La nostra associazione ha una struttura estremamente delocalizzata su territorio internazionale. Il nostro project manager vive a Gaza, alcuni membri dell’associazione hanno più libertà di viaggiare e vi si recano regolarmente. Una di noi è attualmente nella Striscia e vi resterà per tre mesi. Io andrò tra poco con il progetto di divulgazione.
D. Può tracciare un quadro dettagliato di ciò che vede, di ciò che realmente è?
R. È una situazione di estrema difficoltà, dettata dalle oggettive carenze energetiche, di acqua, di infrastrutture, di cibo, medicine, approvvigionamenti, legati all’embargo e alla chiusura di ogni accesso con l’esterno che la Striscia vive quotidianamente da molti anni. C’è però anche un altissimo livello culturale all’interno della Striscia, tecnici altamente qualificati, ed una forte, fortissima voglia di andare avanti, di ricostruire.
D. Può spiegare la «questione palestinese» dal suo punto di vista?
R. La Palestina è un territorio occupato. Ogni giorno si susseguono soprusi ai danni di quella che è la popolazione autoctona. Campi vengono sottratti ai legittimi proprietari per dare spazio a coloni che distruggono ciò che era per occupare. Flussi d’acqua vengono deviati e prosciugati, strade vengono bloccate e muri vengono costruiti, deprivando uomini dei loro diritti fondamentali. Sono permessi arresti preventivi e privi di giustificazione e spesso l’esercito israeliano si introduce nelle case e, preventivamente, arresta uomini, donne e bambini, violando qualsivoglia diritto fondamentale. Un’intera parte della popolazione poi, circa due milioni di abitanti, vive in una prigione a cielo aperto, con lo stillicidio di un approvvigionamento energetico controllato da fuori, di un prosciugamento delle risorse idriche che, secondo i rapporti della Who, nel 2020 saranno completamente prosciugate se non ci sarà un intervento esterno, senza poter entrare o uscire, senza che sia concesso un contatto con l’esterno. Unica colpa, l’essere nati al di là di un muro.
D. Anche grazie al concerto di Stefano Bollani il 3 novembre 2014 al Teatro Argentina di Roma, avete dato inizio alla costruzione del primo modulo dell’impianto grazie al quale l’ospedale avrebbe avuto nella sua interezza 17 ore di autonomia quotidiana. Era stato un sold out. Come sono stati impiegati, precisamente, i proventi da quell’evento? Da allora qualcosa è cambiato?
R. Grazie a Bollani nel novembre del 2014 abbiamo completato l’installazione dell’impianto fotovoltaico sul tetto del Jenin Charitable Hospital: con i proventi del sold out abbiamo provveduto alla fornitura delle batterie che hanno permesso l’accensione dei rimanenti tre dei quattro inverters che costituiscono il modulo, portando l’impianto da 4 a 16kWp. Inoltre, abbiamo comprato 12 pacchi batteria e abbiamo realizzato la nuova rete elettrica del secondo piano. L’ospedale ha così completa autonomia e tutte le sue cliniche - dipartimenti di otologia, dermatologia, medicina interna, psichiatria, chirurgia vascolare, chirurgia urologica, pediatria, ortopedia, pronto soccorso, vari laboratori di analisi ed una farmacia - sono operative e indipendenti da ogni approvvigionamento energetico. Il numero di accessi all’ospedale nel mese di dicembre 2014 - primo periodo nel quale il sistema fotovoltaico è stato totalmente installato - è aumentato del 63 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, quando ancora non era stato implementato, mentre in un anno l’impianto ha permesso un aumento del 170 per cento del numero di pazienti trattati dal nosocomio. Non abbiamo ancora a disposizione i dati del 2015, che abbiamo richiesto.
D. Nuovamente ospiti al Teatro Argentina di Roma, questa volta con Richard Galliano. In che modo scegliete e coinvolgete i grandi artisti e i grandi teatri nel progetto? Sono anch’essi «benefattori» di Gaza?
R. Vogliamo ringraziare il Teatro Argentina che per la seconda volta ci accoglie con tanto entusiasmo e partecipazione; e il maestro Richard Galliano, che fin dall’inizio ha dimostrato il suo interesse nel sostenere la Palestina e il nostro lavoro attraverso un live, quello dell’11 febbraio, fatto di atmosfere francesi, tango argentino, melodie mediterranee e ritmi brasiliani. Coinvolgiamo abitualmente gli artisti che amiamo, non solo per la loro musica, ma anche per la loro attenzione nei confronti dei temi legati all’impegno e alla sostenibilità. E finora sappiamo di aver scelto bene.
D. Questa volta, con Galliano, l’obiettivo è la realizzazione di circa 1 km di illuminazione fotovoltaica stradale nel quartiere di al Zannah. Di quanto idealmente ci sarebbe bisogno per dare un senso a questo sforzo?
R. Il concerto di Galliano servirà a portare luce in una delle zone più martoriate della Striscia di Gaza. È parte di un progetto più articolato la cui finalità è la ristrutturazione delle aree rurali, la creazione di spazi verdi e la conversione a fotovoltaico dei sistemi di distribuzione delle acque, dando assoluta indipendenza negli approvvigionamenti energetici. L’installazione di un sistema di illuminazione nelle aree pubbliche permetterà di riprendere una vita sociale normale, fatta di scambi, incontri, sicurezza per uomini, donne, bambini. Una normalità attualmente negata dalle condizioni di vita ma che ripristinata sarà un passo verso una pacificazione delle aree, verso una normalizzazione.
D. Oltre agli artisti, vi sono intellettuali, personaggi di cultura, economisti, imprenditori che si impegnano nella causa?
R. Abbiamo avuto nel corso degli anni il sostegno di vari intellettuali come Noam Chomsky, Ilan Pappe, Keith Barnham, Susan Abulhawa, Luisa Morgantini, Vauro Senesi, tra gli altri. E abbiamo iniziato una collaborazione con una piccola-media impresa italiana, la Wind Kinetic, nello sviluppo di sistemi per energia che si basano sulle rinnovabili e per macchinari in ambito di produzione e purificazione dell’acqua.
D. Come vi ha accolto la Palestina? Come vi ha accolto Israele?
R. La popolazione palestinese è estremamente attenta alla creazione di sistemi che permettano un miglioramento delle condizioni di vita della propria gente. Un grandissimo fermento ed entusiasmo ha accolto fin da subito il nostro lavoro. Durante l’installazione dell’impianto di Jenin, il nostro project manager Haitham si ritrovò a dover frenare l’entusiasmo degli operai che volevano lavorare giorno e notte pur di vedere operativo l’ospedale. Dopo l’accensione del nosocomio, Sunshine4Palestine è stata invitata a innumerevoli incontri sulle soluzioni energetiche nella Striscia di Gaza, Haitham è stato intervistato da varie televisioni palestinesi e dai giornali, siamo stati invitati come esperti a parlare alle Nazioni Unite ad un meeting sulla situazione energetica nella Striscia di Gaza e sulla ricostruzione. Con Israele non abbiamo avuto rapporti, se non il blocco totale per me in ingresso ad Erez e per Haitham in uscita da Gaza, tanto che a me non fu concesso di entrare a Gaza e ad Haitham non fu concesso di prender parte al meeting delle Nazioni Unite del quale era un «invited speaker».    

Tags: Febbraio 2016

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