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URBAN FUEL POVERTY: L’ARCHITETTURA URBANA CONTRO LA POVERTÀ ENERGETICA

Tra le molteplici condizioni di disagio dovute al climate change c’è la cosiddetta povertà energetica, ovvero la “situazione nella quale si spende più del 10% del proprio reddito per le bollette energetiche”, secondo la definizione di Brenda Boardman dell’università di Oxford e adottata dal British Government come misura ufficiale per l’Inghilterra.

Ed è la povertà energetica in ambito urbano al centro del libro Urban fuel poverty edito da K.Fabbri Elsevier, che affronta il tema con l’approccio multidisciplinare politico-economico, climatico-ambientale, urbanistico-architettonico e sociale-medico. Quale contributo del CNR, nel volume si può leggere ‘Role of climate and city pattern’ di Teodoro Georgiadis, ricercatore dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibe, ex Istituto di biometereologia Ibimet), che illustra la correlazione tra contesto climatico e forma urbana, sottolineando quanto i fenomeni estremi invernali (temperature, precipitazioni) ed estivi (ondate di calore) “dipendano da come è fatta la città: densità di edificazione, impermeabilizzazione dei suoli, caratteristiche edili, etc. E, viceversa, quanto la forma urbana possa aumentare l’incidenza negativa di tali fenomeni sulla salute delle persone”, spiega Georgiadis. “Ad esempio, il temporale autorigenerante che il 23 giugno 2013 colpì Rimini, dove furono rilevati 123 mm di pioggia in un’ora, e che mise in ginocchio le attività turistico commerciali, provocando la perdita di due vite umane, rese evidente quanto i fenomeni intensi impattino sui servizi e sulle strutture urbanistiche delle città che, essendosi sviluppate su altri regimi atmosferici, sono difficilmente in grado di rispondere in modo resiliente a questi shock improvvisi. Il clima e il suo mutamento devono quindi essere considerati come parametri essenziali quando si studia l’assetto da dare alla città”. Dal punto di vista politico-economico si analizzano poi le azioni volte a supportare economicamente i redditi inferiori, gli aspetti climatico-ambientali e il ruolo degli edifici (e dell’efficienza energetica) come causa e possibile soluzione di questa condizione più comune di quanto si pensi. Vengono inoltre affrontati gli aspetti relativi all’impatto sulla salute, anche mentale, conseguenti alle condizioni estreme di caldo e freddo all’interno degli edifici. “Ad esempio è comprovato scientificamente che i malati di diabete siano particolarmente soggetti a disequilibri funzionali quando i valori termici escono da range di temperatura considerati accettabili per le altre parti della popolazione. La diminuzione delle occorrenze degli estremi termici permette quindi una vita più attiva, di maggiore inclusione, con anche risparmi sulle spese medico-sanitarie”, afferma Georgiadis.

Il ruolo dell’architettura quale fattore di incremento del rischio di vulnerabilità energetica è illustrato da Kristian Fabbri, docente del Dipartimento di architettura dell’Università di Bologna: gli immobili con ridotte prestazioni energetiche comportano infatti alti costi e condizioni dei parametri lontani dalla soglia di comfort. “La condizione di povertà energetica costituisce uno dei fattori epidemiologici che può comportare impatti sulla salute della popolazione, in termini di morbilità e mortalità, in relazione alle cool waves (ondate di freddo) e heat waves (ondate di calore). Ritorna utile ricordare i dati della heat wave dell’estate eccezionale del 2003 che ha portato, in Italia e in Francia, a più di 15.000 morti”, sottolinea Fabbri.

La valutazione della povertà energetica si basa sull’effettiva spesa energetica, ricavata su base statistica. L’applicazione della soglia del 10% di reddito proposta da Boardman, richiede degli aggiustamenti che tengano in considerazione fenomeni come la hidden energy poverty (povertà energetica nascosta e soggetti con consumo energetico zero). Per questa ragione Ivan Faiella e Luciano Lavecchia nei loro lavori per la Banca d’Italia, descritti nel capitolo 6, propongono un indice, usato anche nella strategia energetica nazionale 2017 del Mise, che unisca la misura assoluta (10%) con i dati relativi estremi (alta spesa e povertà energetica nascosta). L’obiettivo è arrivare a una misurazione oggettiva basata sulla ‘intensità’ espressa come energy poverty gap, una sorta di soglia che definisca il rischio di povertà energetica assoluta e non relativa alla percentuale di spesa sul reddito.

La terza parte del volume, ‘How to tackle it’, riporta le strategie per agire mediante azioni politiche (legislazione e incentivi per l’efficienza energetica, mercati dell’energia, etc.) soluzioni tecnologiche e programmi sociali basati su formazione, informazione degli utenti e gestione dei programmi di governance nell’ambito delle politiche sociali, incluso il social housing, come descritto da Jacopo Gaspari, del Dipartimento di architettura dell’Università di Bologna.

Il tema della povertà energetica è presente nei recenti report IPCC 2018, il 2030 Agenda for Sustainable Development dell’ONU e il Clean Energy for All Europeans della Commissione Europea. L’Europa ha costituto un proprio Energy Poverty Observatory mentre in Italia è di recente costituzione l’Oipe (Osservatorio italiano sulla povertà energetica).

Tags: energia rinnovabile mise ministero dello Sviluppo economico CNR energia architettura Bologna architetti climate change Luglio Agosto 2019

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