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le professioni per l’italia: REGOLE comprensibili, COMPETENZA, MERITOCRAZIA e integrita' morale richieste dai cittadini ai politici

anna maria ciuffa e maurizio de tilla

Applichiamo regole comprensibili e ispiriamoci a criteri di competenza e principi di meritocrazia. Combattiamo con determinazione la mafia, la corruzione e l’evasione fiscale. Cambiamo radicalmente la classe dirigente che ha forti responsabilità connesse alle proprie incapacità e alla mancanza di onestà. La corruzione è arrivata in Italia ad una percentuale altissima e gode paradossalmente di protezioni che discendono dall’assenza di controlli efficaci e di principi etici di autodisciplina, oltre che da una giustizia malata ed inefficiente. Senza controlli e senza sanzioni non si va da nessuna parte. È la politica che detta i tempi delle regole e degli interventi. Ma l’attuale politica non ha le carte in regola e va riformata. È questo il senso del voto espresso dagli italiani e il significato della forte astensione. La condizione di illegalità del Paese è alimentata dalla corruzione.
Secondo l’associazione non governativa Transparency International, la percezione della corruzione in Italia è di 60 miliardi di euro all’anno. L’organiz-zazione ha stilato una classifica mondiale e ci ha incoronati «campioni del mondo». Nel caso specifico il valore delle attività predatorie appesantisce del 40 per cento la spesa pubblica per infrastrutture, appalti, forniture pubbliche, sovraordini, fatturazioni fasulle ecc. Una piaga che in Italia grava per il 4 per cento del prodotto interno rispetto all’1 per cento nell’Unione Europea.
Secondo un rapporto del World Economic Forum di Davos del 2012, nella graduatoria «per efficienza anticorruzione» l’Italia è piazzata al 72esimo posto. In quella dell’etica dei politici siamo al 127esimo; nell’«efficienza antitangenti» al 64esimo posto. Numeri da Terzo Mondo. Scrive Laura Marinaro che si può stimare in 6 mila euro l’anno la cifra di quattrini sottratta dalle tasche degli italiani onesti.
La corruzione negli appalti pubblici si sostanzia in una diabolica e perversa prassi procedurale. Sul piano formale abbiamo procedure di appalto astrattamente legittime e inattaccabili con previsioni molto favorevoli per l’Ammi-nistrazione Pubblica e spesso antieconomiche per i concorrenti. Condizioni molto onerose che fanno astenere le imprese serie dal partecipare alle gare. Ma c’è un trucco diabolico che sta nel fatto che chi concorre già sa che il pubblico ufficiale corrotto gli garantisce lauti guadagni integrativi con la compiacenza di finti controlli e di incrementata contabilizzazione dei lavori.
La più forte corruzione si annida nel nostro Paese nelle grandi opere infrastrutturali, negli appalti utili per la gestione ordinaria del Paese, in tutti i servizi pubblici e, più in generale, nel funzionamento della macchina dello Stato. In realtà, nonostante un’abbondante letteratura e interventi fortemente critici, non si è riuscito finora a cambiare nulla. La situazione fa comodo al sistema di potere consolidatosi nel tempo ma che non ha più ragione di rimanere in piedi. Il grande successo di Beppe Grillo e del Partito Cinque Stelle è la principale conseguenza dell’ostinazione a non cambiare e a non mettersi definitivamente da parte.
Il finto gioco tra i medesimi personaggi politici è solo un mezzo per far apparire la volontà di un cambiamento che non c’è e non si vuole. Il recente voto elettorale si è caratterizzato non solo per la «ingovernabilità» ma anche per la cancellazione o lo svelamento di stantii personaggi della vecchia politica che farebbero bene a tornare alle loro attività lavorative, ammesso che ci siano.
Per rinnovare il sistema occorre smentire pretestuose scusanti. Anzitutto che la corruzione sia necessaria per lo sviluppo internazionale delle nostre aziende specie in alcuni Paesi. Dobbiamo dare ragione a un acuto osservatore, Sergio Romano, secondo il quale gli affari così realizzati pregiudicano le buone regole della concorrenza. Chi ha fondi segreti conquista le commesse. Chi non ne ha, anche se è in grado di fornire prodotti migliori, esce dalle gare irrimediabilmente sconfitto. Oltre alle grandi tangenti, qualcuno ha così confessato i propri illeciti: «Non ho pagato tangenti in senso classico del termine: ho pagato il politico che mi chiedeva di dare una mano al partito o alla società sportiva; ho dato soldi al politico che chiedeva di sponsorizzare eventi, ho risposto alle richieste di denaro di amministratori pubblici che prospettavano presunte difficoltà da affrontare nel campo sociale. Diversamente mi facevano fuori dal partecipare e vincere le gare».   

Tags: Aprile 2013

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