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il fiscal compact non può essere fiscal diktat

GIORGIO BENVENUTO  presidente della fondazione Bruno Buozzi

È stato raggiunto un nuovo record per il debito pubblico. La crescita è inarrestabile. Alla fine di aprile era stata raggiunta la soglia di 2.146,4 miliardi di euro, a marzo erano 2.120 miliardi, a febbraio 2.107,2 miliardi. Gli italiani, compresi i bambini, hanno ora ciascuno un debito di 35 mila euro. Il debito pubblico salirà alla fine del 2014, secondo previsioni che appaiono ancora troppo ottimistiche, al 135,2 per cento del prodotto interno; nel 2013 era al 132,6. Il Patto di stabilità prevede che entro i prossimi 20 anni venga definito il rientro portando il rapporto debito/prodotto interno al 60 per cento in tutti i Paesi dell’Unione.
Il fiscal compact non può però diventare per l’Italia il fiscal diktat. I nuovi organismi europei che saranno nominati devono cambiare politica. L’austerità va mitigata. Va imboccata la strada della ripresa miscelando con abilità le risorse per gli investimenti con quelle per il risanamento dei conti. Il Governo italiano, forte per il consenso ottenuto alle elezioni e determinante per numero di eletti nella nuova assemblea parlamentare, deve far valere il proprio peso e le proprie proposte. L’Europa non può sostituire l’età dei diritti con l’età dei numeri. La politica dell’austerity ha prodotto risultati devastanti e sta minando la coesione e la solidarietà tra i diversi Paesi.
Gli indicatori numerici non possono essere riferiti esclusivamente alla tenuta dei conti pubblici. Devono essere integrati dagli indicatori sociali: benessere, sviluppo, occupazione, istruzione. L’Europa deve praticare la politica della coesione contrastando le diseguaglianze tra i popoli e tra le persone, che sono il frutto avvelenato dell’austerity. L’Italia si è mossa bene alla vigilia delle elezioni europee chiedendo e ottenendo di fatto un calendario più flessibile per migliorare i propri conti pubblici.
Ora il Governo Renzi, che presiederà la Commissione Europea nei prossimi sei mesi, deve fare di più: privilegiare la politica del fare anche a costo di sacrificare qualche posizione di rilievo nelle istituzioni. L’esempio cui riferirsi è la Presidenza Craxi degli anni 80, quando, sotto la spinta dell’Italia, l’Europa accettò l’ingresso di Spagna e Portogallo. Allora fu battuta la politica isolazionistica di Margaret Thatcher; oggi va sconfitta la politica recessiva di Angela Merkel.
Per essere credibile il Governo Renzi deve aggredire pigrizie, rassegnazione, impotenza, inettitudine, bizantinismo che hanno caratterizzato la politica negli ultimi 20 anni. Ci vuole una forte, determinata, abile, equilibrata politica. La situazione si è incancrenita. Come ricordava Tommaso Campanella, l’Italia è bloccata da lacci e laccioli. L’elenco delle riforme e dei cambiamenti da fare è nutrito, occorre stabilirne le priorità. A volte si ha l’impressione, nel diluvio delle dichiarazioni che ci sommerge ai limiti dell’ossessione, di ascoltare proposte elencate con superficialità. È bene, per essere capiti, essere semplici; è utile ricorrere al semplicismo nell’elencare le soluzioni. Ma non si deve esagerare. Ascoltando le loro banalità, spesso sembra di avere a che fare non con statisti ma con sempliciotti.
Un cambiamento è in atto nel Paese, nei suoi assetti di direzione e nelle scelte politiche. Non va sottovalutato il consenso che accompagna il nuovo Governo. Ma non deve esserci in Matteo Renzi la sopravvalutazione delle proprie capacità. Occorre una visione che allarghi il consenso stimolando le forze economiche e sociali a fare. Il Governo non può chiudersi in se stesso. Non può praticare una politica che non tollera opinioni diverse. Non è accettabile una sorta di liberal-stalinismo che demonizza chiunque dissente accusandolo di avere solo reconditi e inconfessabili interessi personali.
A volte sembra che il compito di parlamentari, politici, sindacalisti, militanti del PD, sia solo quello di applaudire il Capo del Governo nelle esternazioni e decisioni. L’unica possibilità è quella di detergergli la fronte dal sudore che le sue performances gli producono. Non deve essere così. I consensi sono volubili, volatili, effimeri. Oggi ci sono, domani possono scomparire. Proposte, osservazioni, opinioni per cambiare vanno tenute nel debito conto per chi vuole fare. Soprattutto evitano le guerre per errore e danno solidità alle riforme.
Una notizia positiva viene dalla Camera dei Deputati. Finalmente con un accordo bipartisan verranno modificati i regolamenti. Per eliminare l’abuso dei decreti legge il Governo potrà presentare cinque leggi ogni tre mesi da approvare o respingere entro 30 giorni. L’opposizione potrà ricorrere alla corsia di emergenza per propri disegni di legge almeno una volta ogni 3 mesi. Il Governo dovrà ricorrere alla fiducia solo in casi eccezionali. Ci sarà un tetto per gli emendamenti di ogni gruppo. Il grosso del lavoro legislativo sarà spostato nelle Commissioni. In aula non potranno essere presentati emendamenti non esaminati in Commissione. Le nuove norme entreranno in vigore da questo mese; si applicheranno alla legge di stabilità. È uno scenario nuovo che consente al Governo di muoversi con efficacia e tempestività.
Abbiamo una spesa pubblica inarrestabile, un’evasione fiscale mostruosa, un sommerso superiore al 21 per cento. Va realizzato un deciso intervento sulla spesa pubblica sempre più contigua a fenomeni di corruzione. Ora, invece della diminuzione delle tasse, invece degli auspicati interventi per la riduzione della spesa pubblica, i cittadini sono aggrediti da un fisco complicato, ostile, incapace di rispettare lo Statuto del Contribuente. Il debito pubblico è via via cresciuto: 56,6 per cento nel 1980; 121,2 nel 1994; 135,2 nel 2014. La pressione fiscale salirà a fine anno addirittura al 44 per cento. Siamo arrivati ad una tassazione delle imprese pari al 65,8 per cento. Siamo i primi in Europa, davanti a Francia (64,7), Spagna (58,6) e Germania.
Il costo della lotta all’evasione, in base ai dati dell’Agenzia delle Entrate, è di un euro ogni 3,82 euro recuperati, percentuale molto elevata: corrisponde ad oltre un quarto dell’importo recuperato, pari al 26 per cento. Equitalia è nata con un appoggio unanime di tutto il Parlamento. Ha messo ordine in un sistema complesso quale era la riscossione, che di fatto costava molto più di quello che riusciva ad incassare. Il Parlamento ha via via dato ampi poteri ad Equitalia per renderne efficace la gestione.
Era stato stabilito che, in casi straordinari, si poteva ricorrere a fermo macchina, confisca di proprietà immobiliari, interventi su depositi bancari. Insomma Equitalia è partita con un consenso universale. Poteva essere un gioiello di efficienza, uno strumento per realizzare l’equità. Non è stato così. La situazione, complice la crescente gravità della crisi economica, si è deteriorata, sono prevalsi nell’Amministrazione accanimento irragionevole su piccoli contribuenti e piccole attività imprenditoriali, sistematica violazione dello Statuto del Contribuente, cartelle sbagliate, assoluta impermeabilità ad una gestione più flessibile.
In una lunga fase gli strumenti per il recupero sono stati usati senza tener conto di situazioni oggettive dei contribuenti. Si è usato il cannone per sparare agli uccelli. Un grave errore. I rimedi non hanno migliorato i rapporti, non sono stati apprezzati. Eppure sono stati rateizzati oltre 25 miliardi di euro con scadenze temporali sino a dieci anni. Giusta la critica agli eccessi ed opportuni gli interventi del Governo Letta che hanno dato fiato ai debitori. Le critiche vanno però moderate. Sopprimere Equitalia e tornare alla riscossione di tasse attraverso i Comuni sarebbe un pericoloso passo indietro, verso arbitrio e corruzione.
I Governi Letta e Renzi hanno dato ampie assicurazioni per interventi diretti a ridurre la pressione fiscale e a semplificare le procedure fiscali. Non è stato e non è così. L’erogazione del bonus medio di 80 euro per una platea definita è accompagnata da uno stillicidio di nuove tasse più o meno occulte: passaporti, fondi pensione, benzina, tabacchi, bolli su depositi e su operazioni bancarie, probabile rincaro del bollo auto ecc. Grave la disciplina della Tari, nuova tassa sui rifiuti, l’impatto è pesante sulle imprese. Il rincaro medio è del 15 per cento sul 2013, del 55 sul 2010.
Un provvedimento «infame», se sarà attuato, blocca il conguaglio nel 730 per le detrazioni e deduzioni superiori a 4 mila euro. Si prevede una procedura incredibile di verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate che allontanerà di mesi, se non di anni, il rimborso di quanto dovuto: carichi di famiglia e crediti di imposta derivanti da dichiarazioni degli anni precedenti. Incappa in questa tagliola il contribuente che, acquistata una casa, l’ha ristrutturata con un mutuo; stessa sorte chi si sta separando dal coniuge.
Non si riescono ad immaginare le semplificazioni del fisco. Destra, centro, sinistra da anni affermano: semplificare. Berlusconi ci provò con il decreto legge 70 nel 2011; Monti varò nel 2012 il decreto 16; Letta fece il decreto 69 «del fare» nel 2013; Renzi fa conferenze stampa a getto continuo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il 16 giugno è stato il giorno in cui si sono concentrate innumerevoli scadenze fiscali: imposte sui redditi; saldo e acconto sulle addizionali regionali e comunali; saldo 2013 e acconto Ires 2014; Irap e, per chi compie i versamenti mensili, anche l’Iva; l’Imu, esclusa la casa principale; acconto sulla Tasi in 2.200 Comuni. Scandaloso è l’avvio della Tasi affidato ai Comuni sbizzarritisi in detrazioni, sconti, soglie, minimi catastali. Un rebus irrisolvibile.
Ogni anno sono annunciati: semplificazione storica per imprese e cittadini, miglioramento della qualità delle norme burocratiche; piani specifici per la piccola impresa centrati sulla semplificazione del lavoro e della fiscalità. Negli ultimi sei anni sono state approvate, in 41 provvedimenti, 629 norme fiscali, di cui 72 di semplificazione e 389 di complicazione. Per ogni regola facilitatrice ve ne sono 5,4 peggioratrici. Considerando il saldo tra semplificazioni e complicazioni, secondo la Confartigianato il fisco è stato complicato da una norma a settimana.
Secondo la Corte dei Conti è arrivata l’ora delle riforme, non di surrogati come il bonus da 80 euro, i prelievi di solidarietà e altro; serve un disegno razionale, un quadro di controllo, un cruscotto con tutte le spie accese. Una riforma fiscale che realizzi l’equità modificando una realtà nella quale la recessione ha visto crescere solo i redditi dei più ricchi. La Corte dei Conti diagnostica il virus fiscale e contributivo: «Non c’è solo la patologia del prelievo fiscale fatto di tasse, microtasse, tasse occulte, addizionali. Veniamo da anni di sciali e spese sopra le righe, riforme promesse ma non fatte, sprechi che hanno lasciato segni indelebili, facendo della leva fiscale un serbatoio di entrate».
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto su crescita e semplificazioni, insieme a un disegno di legge su agricoltura e ambiente e al disegno di legge con otto deleghe per la mobilità obbligatoria dei dipendenti pubblici, regole semplificate sugli appalti, sconto sulla bolletta elettrica. Un insieme di norme incoerenti, una raffica di misure aspettate da anni. Troppe riforme sono state fatte senza che mai nulla cambiasse a causa dei ritardi con cui venivano adottati i decreti attuativi. Ora la determinazione del premier è di fare. Vengono rinviati a deleghe attuative riorganizzazione di Stato ed Enti locali con spesa ridotta dell’1 per cento per 5 anni; tempo parziale e dirigenti (part time a 5 anni dalla pensione e ruolo unico della dirigenza); Camere di Commercio (dimezzati gli oneri camerali in attesa della riduzione a 20 enti); conciliazione vita-lavoro con più spazio al telelavoro e voucher per le baby sitter. Sono invece indicati i contenuti dei decreti: nel pubblico impiego, mobilità obbligata entro 50 chilometri, addio al trattenimento in servizio; per i magistrati norme per tempi certi; meccanismi per dare slancio alle riforme per la scuola unica e i dipendenti pubblici; per le imprese bonus sugli investimenti del 15 per cento; taglio per le bollette su energia per piccole imprese da 1,5 miliardi; semplificazioni fiscali; anticorruzione; appalti; semplificazioni in edilizia; giustizia.
È una decisione importante. Va affrontata senza pregiudizi. I risultati, ammesso che i tempi siano rispettati, sono però modesti per occupazione, snellimento della Pubblica Amministrazione, politiche di sviluppo. Manca un’efficace politica della spesa pubblica. Non viene affrontato il disastro del federalismo. Il Titolo V della Costituzione ha determinato inefficienza, spreco, corruzione. È augurabile che il riavvicinamento della Lega Nord al Governo, barattato con il rilancio del federalismo, non si realizzi.
Va riaperto il dialogo con le forze sociali; è determinante una vera riforma del welfare e del mercato del lavoro. Ne abbiamo bisogno perché tra cassaintegrati in deroga e prepensionati si paga la gente per non farla lavorare. Meglio usare le risorse per far lavorare gli italiani visti i tassi di occupazione al di sotto del 60 per cento della popolazione attiva. La flessibilità deve essere strumento, non principio ideologico che porta a sviluppo incontrollato della precarietà.
Occorre far incontrare domanda e offerta, valorizzare capacità e competenze, qualità umane e professionali; rendere efficiente la scuola come sembra voglia fare il Governo. L’Italia sta scivolando verso la soglia dell’indigenza. Il 30 per cento della popolazione è in queste condizioni, ci supera solo la Grecia. Occorre un accordo politico con le parti sociali diverso da quelli del 1984 e del 1992. Allora i lavoratori qualcosa potevano dare, oggi possono solo chiedere. Lo squilibrio è diventato profondo e insopportabile. Occorre più coraggio, una fiscalità agevolata sul lavoro, una politica fiscale equa, una decisa lotta alla corruzione. Il Governo Renzi non può rinunciare al confronto con le parti sociali, essere autosufficiente, delegittimare le controparti. È facile comandare, più difficile governare. È un cammino arduo ma è l’unico se si vuole arrivare al traguardo. Vale il detto arabo: se vuoi camminare in fretta vai da solo, se vuoi arrivare vai in carovana.  

Tags: Luglio Agosto 2014 Giorgio Benvenuto fisco

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