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RIFORME: LIBERALIZZAZIONI E SEMPLIFICAZIONI, I DUE OBIETTIVI DEL GOVERNO MONTI

di GIORGIO BENVENUTO
presidente della fondazione Bruno Buozzi

La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Il Governo Monti vuole invece fare sul serio. Si è impegnato a realizzare serie e concrete riforme dopo il decreto «Salva Italia». È bene che riesca nelle proprie intenzioni. Sono necessari il consenso e la mobilitazione della maggior parte dell’opinione pubblica. Il presidente del Consiglio, Mario Monti ha proposto due obiettivi per sollecitare la crescita e lo sviluppo del Paese. Il primo è la semplificazione fiscale. Il disagio dei cittadini e delle imprese è al limite della sopportazione.
Ecco alcuni numeri: 1.869 leggi in vigore, articolate in una infinità di norme e regolamenti scoordinati tra di loro; 1.086 modifiche al TUIR, il Testo unico imposte sui redditi, con una frequenza negli ultimi dieci anni di una alla settimana; 270 tasse, imposte, balzelli, spesso cervellotici, come quelli sulle separazioni e sui divorzi. Il 2011 ha battuto ogni record, anche quello del Governo Amato del 1993. Gli interventi di carattere fiscale, tra norme modificate e disposizioni aggiunte, sono stati 650. Numerosissime le violazioni dello Statuto del Contribuente. La più macroscopica è l’aumento retroattivo di un anno delle addizionali regionali.
Ancora qualche dato: 57.723.292 dichiarazioni presentate al fisco (46.472.705 quelle ai fini Irpef); 84.652.533 documenti inviati online; 87.200.000 versamenti effettuati con F24 telematico; 1.182 codici di tributo per versamento imposte (F23 e F24); 93 tipi di modelli per dichiarazioni, versamenti, altro; 147 pagine di istruzioni al modello unico Irpef; 12 pagine per la compilazione, a cui se ne aggiungono ben 84 di istruzioni per il 730 «semplificato»; 720 agevolazioni fiscali tra esenzioni, deduzioni, detrazioni, crediti di imposta; 1.281.892 processi fiscali pendenti su imposte dirette e indirette.
In poche parole, con un sistema fiscale così farraginoso, con una burocrazia così pervasiva e ossessiva, con l’incertezza delle norme da applicare, non si va da nessuna parte. Non vengono più in Italia investimenti stranieri e da qualche anno è cominciata in crescendo la fuga degli imprenditori italiani in altri Paesi europei o in altri continenti. Ben venga dunque la riforma per la semplificazione fiscale. Darà stabilità e certezza nei tempi e nei contenuti alla politica fiscale.
Il rispetto dello Statuto dei contribuenti, la predisposizione di testi unici, la riduzione e il disboscamento delle imposte a un numero ragionevole, l’estensione delle procedure telematiche e la valorizzazione degli intermediari fiscali costituiscono una pietra miliare per ritrovare la strada della competitività e dello sviluppo nel nuovo quadro della divisione mondiale del lavoro.
Il secondo obiettivo di Monti è la riforma per le liberalizzazioni. In linea di principio non si può continuare a scaricare sulla gran parte dei cittadini e sull’attività manifatturiera eccessi di tariffe, costi esorbitanti e dilagante inefficienza dei servizi. Il Paese è roso da una ragnatela di parassitismo e di burocratizzazione. Cambiare non sarà facile. Ci saranno molte resistenze, si ripresenteranno misure e proposte per vanificare la riforma con la logica del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla.
Il Governo Monti torna alla carica dopo gli insuccessi di Silvio Berlusconi e di Romano Prodi. Il decreto «Cresci Italia» è apprezzabile. Ha strategie e disposizioni di carattere generale. Il contesto internazionale non dà spazio a consistenti scelte macroeconomiche per una politica di crescita. È giocoforza rimuovere gli ostacoli che condizionano e ritardano il riassetto del sistema produttivo italiano. Lo sviluppo si basa su una nuova politica qualitativa dell’offerta per rafforzare la competitività del sistema Paese. Gli ostacoli al riassetto del sistema produttivo sono nel settore dei servizi, che riguardano più del 50 per cento del prodotto interno. Energia, trasporti, comunicazioni, credito, assicurazioni sono, in un confronto tra i Paesi dell’Ocse, il tallone di Achille del sistema Italia.
Le novità del decreto «Cresci Italia» sono sostanzialmente tre. La scelta della «liberalizzazione dell’attività economica e della riduzione degli oneri amministrativi delle imprese» non è affidata, come proponevano l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, a un’incerta proposta di revisione costituzionale. Si fa, invece, leva sui trattati europei per i quali l’iniziativa economica è libera, in condizioni di parità tra tutti i soggetti presenti e futuri, entro i limiti necessari per la tutela della salute, della sicurezza, della libertà e della dignità umana.
Per definire i contenuti concreti del principio secondo cui tutto sarà libero ad eccezione di tutto ciò che sarà espressamente e motivatamente regolato, il Governo si è impegnato in una road map per approvare in tempi ragionevoli i necessari regolamenti attuativi. Si tratta, in particolare, di inserire nel Codice civile fattispecie di società semplificata a responsabilità limitata, di istituire nei Tribunali Sezioni specializzate e di affidare alla Presidenza del Consiglio dei ministri il monitoraggio delle normative regionali e locali per renderle coerenti con le riforme adottate dal Parlamento. La seconda novità è la separazione tra la proprietà e la gestione della rete del gas; non si capisce però perché viene rinviata nelle Ferrovie e ignorata nelle Poste. La terza novità è rappresentata dall’abrogazione delle tariffe per tutte le professioni inquadrate nel sistema degli Ordini.
Le tre novità ora ricordate, sia pure con limiti attuativi e con una marcata incompletezza, sono coerenti con i criteri fissati nell’articolo 41 della Costituzione sulla libertà dell’iniziativa economica privata. Rispetto alle altre liberalizzazioni compiute dai Governi Prodi e Berlusconi, il decreto «Cresci Italia» contiene norme che vincolano seriamente il legislatore nella fase regolamentare andando oltre le petizioni di principio espresse più volte dai precedenti Governi; si parlava allora di «lenzuolate», era più giusto dire che erano «fazzoletti».
Non sarà facile avere il consenso delle corporazioni e delle lobby interessate. È probabile che, una volta superate le insidie parlamentari, sarà faticoso contrastare l’inevitabile sabotaggio attuativo. Ecco perché occorre lavorare con pazienza e risolutezza al consenso, valorizzando il confronto con ampi settori del mondo delle professioni e dei servizi interessati alla modernizzazione e al cambiamento. Le professioni e i servizi, una volta liberati dalle incrostazioni e dalle cattive abitudini, possono svolgere un ruolo dinamico rilevante per la valorizzazione dei giovani e per la competizione in Europa.
Va ricercato il consenso ma, alla fine, la decisione ci vuole. Si deve voltare pagina. Si parla da vent’anni di riforma degli ordini professionali. Ogni volta si ricomincia da capo. È ora di dire basta. Certo, non tutti i provvedimenti di liberalizzazione sono incisivi. Ad esempio l’aumento del numero dei notai e delle farmacie è un passo notevole. Ma non è sufficiente. Si accrescono i numeri che però rimangono «chiusi». Insomma ci si troverà in quei settori a dividere, tra un numero più grande di concorrenti, una stessa torta, definita non in termini di domanda ma di profitto.
Infine nel progetto di liberalizzazioni di Monti rimane un tasto dolente. È il caso delle banche e delle imprese di assicurazione. Gli interventi previsti - a parte la previsione della riduzione interbancaria di natura regolatoria - consentono una tutela di dubbia efficacia del consumatore. Hanno in sostanza ben poco a che vedere con un disegno volto a favorire meccanismi di mercato.
Con tutta la buona volontà, ancora una volta sulle assicurazioni e sulle banche si fa poco, troppo poco. L’articolato disposto non incide positivamente sull’allargamento del mercato. Non rimuove gli ostacoli che oggi impediscono un’oculata politica del credito. Insomma non si intravede nessuna opportunità per il finanziamento della ricerca, delle piccole imprese, delle famiglie.
In conclusione il decreto «Cresci Italia» si muove nella giusta direzione. È un passo in avanti. Occorre procedere senza paura. È necessario aprire al mercato i servizi pubblici locali. Le aziende municipalizzate e le società partecipate dalle autonomie locali vanno liberate dall’ingerenza politica che si è tradotta sinora, tranne rare eccezioni, in tariffe più alte per il cittadino, in una minore qualità nel servizio, in un gigantesco poltronificio per sistemare gli apparati politici. Il nostro Paese, viene ripetuto con insistenza, ce la può fare. Certo. Le riforme non sono un’amara medicina; non sono un’espiazione per indefinite responsabilità; non sono un sopruso dell’Europa. Sono una scelta consapevole e convinta di tutti per togliere l’Italia dal pantano.

Tags: contribuenti Giorgio Benvenuto marzo 2012

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