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MISURE ANTI-CRISI. L’AUSTERITÀ NECESSARIA PER RIDURRE IL DEBITO PUBBLICO NON DEVE UCCIDERE L'ECONOMIA

di GIORGIO BENVENUTO presidente Fondazione Bruno Buozzi

Il Governo Monti è nel pantano. È in una fase di stallo. Non decollano le riforme. Le misure per lo sviluppo vengono procrastinate. Gli sprechi della politica e la spesa pubblica aumentano invece di diminuire. La disoccupazione e la sottoccupazione dilagano. Cresce a dismisura l'iniquità nella distribuzione del carico fiscale. Le conseguenze sono pesanti. Lo spread con i titoli tedeschi è di nuovo ai massimi storici. Il debito pubblico aumenta. Siamo caduti in una fase di recessione, non breve. L'austerità sta impiccando l'economia.
Eppure il Governo Monti ha cominciato bene. Sullo scenario internazionale e in particolare in Europa, l'Italia è diventata un partner rispettato e ascoltato. Lo spread era diminuito. Le severe misure di contenimento della spesa pubblica avevano ottenuto il consenso dell'opinione pubblica. Gli indici di popolarità di Mario Monti erano cresciuti. Poi la luna di miele si è interrotta. Perché? Per tanti errori. Prima di tutto si è sbagliato il metodo. Il Governo con testardaggine, quasi con arroganza, ha evitato di confrontarsi con le forze economiche e sociali. Ha preferito discutere solo con i tre principali partiti - PD, PDL, UDC -. Si è così logorato in una serie ininterrotta di incomprensibili compromessi.
Gli stop and go sulla legge elettorale, sui costi della politica, sulla riduzione della spesa pubblica, sulle liberalizzazioni, sulle misure contro la corruzione, sulla dismissione del patrimonio pubblico, sulla riforma del mercato del lavoro, sulla crescita e lo sviluppo, sono state frequenti. Il tutto è aggravato da un insopportabile presenzialismo dei ministri tecnici nei vari talk show televisivi nei quali, da improvvisati opinionisti, sfornano spesso promesse, bugie, ricette economiche e sociali fantasiose e velleitarie. Vengono spesso, con grande clamore, annunciate riforme che o sono in discussione o vengono fatte scivolare alla prossima legislatura. Insomma si è fatto, si sta facendo un grande «balzo all'indietro».
Occorre reagire. Le elezioni politiche, per una serie di ragioni che mantengono la loro validità, si possono fare solo alla normale scadenza della legislatura. Mancano ancora nove mesi. Bisogna riempirli di contenuti. Non sarà facile. Il rapporto con i partiti è destinato a complicarsi man mano che ci si avvicinerà al voto. Ecco perché Monti, come fece già Azeglio Ciampi, deve riaprire i rapporti con il Paese, riprendere la strada della concertazione per concludere un grande patto per lo sviluppo e la crescita basato sulla valorizzazione del lavoro, dell'impresa, della cultura, della ricerca, dei diritti e dell'ambiente. Ci si deve collocare in un'ottica in cui le diseguaglianze vanno ridotte.
L'incidenza dei salari e degli stipendi sul prodotto interno continua ad abbassarsi rispetto alla media europea. Buona parte dei risparmi continua ad andare alle rendite e ai profitti. In Italia la metà della popolazione possiede il 10 per cento della ricchezza nazionale che, per il 50 per cento, è invece detenuta appena dall'8 per cento della stessa. Secondo i dati dell'Ocse, l'Italia è diventata uno dei Paesi che ha il gap più grande tra ricchi e poveri. Registra una pressione fiscale e contributiva troppo elevata.
Il cuneo fiscale e contributivo, cioè la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall'imprenditore e la retribuzione netta percepita dal lavoratore, è di molto più elevato, circa il 10 per cento rispetto alla media europea. La situazione si è aggravata con la politica economica del Governo. È aumentata l'Irpef con un selvaggio e iniquo ricorso alle addizionali. Sono stati inventati nuovi balzelli. L'introduzione dell'Imu e il via libera dato all'aumento della tassa sui rifiuti colpiscono pesantemente i redditi dei ceti medi, dei pensionati, delle piccole imprese.
L'incremento delle tariffe e delle imposizioni indirette come l'Iva e le accise ha scaricato sui ceti più deboli il costo del risanamento del bilancio pubblico. Un aumento dell'Iva, anche di pochi punti, sui generi alimentari, sui trasporti pubblici, sui capi di abbigliamento più comuni, non viene avvertito dai redditi più elevati; rappresenta invece un salasso per la maggior parte dei redditi del lavoro dipendente e dei pensionati; contribuisce a riaccendere l'inflazione; peggiora la competitività del sistema manifatturiero e dei servizi.
L'austerità necessaria per risanare il bilancio pubblico si è concentrata solo sulla riduzione del finanziamento dello Stato sociale. Esempi clamorosi sono la controriforma delle pensioni e l'odissea degli esodati. Il Governo ha scelto di mettersi a rimorchio del sistema finanziario, anziché provare a riformarlo. I problemi di bilancio, che sicuramente esistono, sono enfatizzati. La ricerca delle cause è sbagliata. Non ci si rende conto, per pigrizia o peggio per pregiudizio, che gli squilibri di bilancio sono dovuti ad uscite che non hanno niente a che fare con i costi dello Stato sociale. Riguardano invece il sostegno economico che è stato profuso per salvare le istituzioni finanziarie, con particolare riguardo alle grandi banche.
È sbagliato l'approccio ai problemi sociali che segue il ministro Elsa Fornero. La deindustrializzazione del nostro Paese non é causata dallo Statuto dei lavoratori. I vincoli allo sviluppo derivano dall'incertezza fiscale e normativa. L'abolizione dell'articolo 18, secondo la Fornero, dovrebbe favorire l'occupazione giovanile e consentire il ritorno degli investimenti esteri nel nostro Paese. È una rispettabile opinione. È però banale. È datata. Il nostro ministro del Lavoro si accorge del passaggio della mosca, ma non vede transitare gli elefanti.
Assistiamo in modo crescente al trasferimento all'estero dell'attività produttiva delle nostre imprese; registriamo l'emigrazione dall'Italia dei giovani più preparati; le nostre università non sono più un richiamo come avveniva nel passato per gli studenti e i ricercatori degli altri Paesi. La riforma del mercato del lavoro è necessaria e improcrastinabile. Richiede un ragionevole compromesso tra le diverse parti sociali. È paradossale insistere per approvare la legge con il voto di fiducia strappato in Parlamento, per essere invece poi sfiduciato da tutti, dal Paese, dagli imprenditori, dai sindacati. Sembra quasi che la Fornero preferisca il disaccordo all'accordo tra le parti sociali.
E poi i fatti concreti sono precisi e chiari. Guardiamo ad esempio all'industria automobilistica. A metà degli anni Novanta la Volkswagen era poco più grande del Gruppo Fiat. Nel 2010 ha prodotto quattro volte di più sul piano mondiale - 7,3 milioni di vetture rispetto ad 1,8 - e poco meno in proporzione sul territorio nazionale: 2,3 milioni rispetto alle 564.000 auto della Fiat. Per ricerca e sviluppo la Volkswagen ha investito 20 miliardi di euro, rispetto ai 2 miliardi della Fiat. Nell'azienda automobilistica tedesca i salari sono doppi rispetto al Lingotto; non c'è stato nessun licenziamento.
Il metodo in Germania, alla Volkswagen come in tutte le imprese manifatturiere, è quello del coinvolgimento e della partecipazione di tutti - lavoratori, management, proprietà - per garantire la crescita e la competitività. In una democrazia autentica e partecipata deve essere possibile la liberazione non solo dal bisogno, ma anche dalla povertà della mente e dello spirito. Un patto per lo sviluppo deve essere basato su un compromesso dialetticamente mobile, attuato nel quadro di una convivenza realmente democratica sempre preferibile a uno scontro frontale.
Bisogna insistere. Monti deve correggere la propria politica. Deve appellarsi al Paese. Non è sufficiente il rapporto con i soli partiti. La parola equità deve essere sul serio la direttrice nei prossimi nove mesi della politica del Governo. Tagli veri alla spesa pubblica improduttiva; ridimensionamento degli sprechi della politica; riequilibrio del carico fiscale a favore delle famiglie e delle piccole e medie imprese; riforma del mercato del lavoro per valorizzare la professionalità e l'impegno; misure serie sullo sviluppo e sulla ricerca. Ecco alcuni obiettivi che devono essere perseguiti con determinazione e con rigore. Occorre anche ridiscutere la struttura del Governo. Di fatto mancano il ministro dell’Economia, il viceministro delle Finanze. Monti è troppo impegnato come presidente del Consiglio. Non ha tempo per esercitare anche quelle importanti funzioni. Diventa così inevitabile finire nelle mani della burocrazia degli apparati ministeriali.
Un'ultima considerazione, l'Europa. Per salvare la finanza e per salvaguardare i propri interessi nazionali i Governi conservatori hanno messo a repentaglio l'euro e in crisi l'Europa. Hanno negato una politica economica, sociale e fiscale solidale e comune. Hanno imposto un rigore a senso unico a Grecia, Spagna, Italia. Hanno depresso la domanda interna. Hanno fatto precipitare l'economia in un’interminabile fase recessiva. Angela Merkel in particolare ha una visione penosamente miope. Da troppo tempo.
Non tiene conto delle lezioni della storia. Le misure eccessivamente punitive imposte dalle potenze vincitrici alla Germania nel 1919 alla Conferenza di Versailles distrussero l'economia tedesca. La Repubblica di Weimar non ce la fece a sopravvivere. L'ondata di qualunquismo e antiparlamentarismo rese possibile a Hitler la conquista del potere. L'Europa non regge se non si risolve la crisi dell'euro. Se essa si dissolve dietro l'angolo c'è il precipizio, il baratro di una riesumazione della conflittualità tra nazioni e di una svolta antidemocratica della politica.
Ci sono ora, dopo le elezioni in Francia e in Germania, dei segnali di cambiamento. L'Italia deve costruire le necessarie alleanze per riproporre la soluzione della questione della direzione politica e culturale dell'Unione Europea. Va realizzata e definita un'idea democratica dell'Europa, capace di superare le chiusure nazionalistiche, attenuando gli squilibri tra i Paesi, riformando le istituzioni.
Il Parlamento europeo deve assumere più potere rappresentando un sistema politico incardinato su grandi partiti. L'Unione Europea dovrà avere un bilancio, politiche sociali, economiche, fiscali, ecologiche comuni, e dotarsi di una vera Banca Europea. Monti ha manifestato di recente la volontà di non rinunciare a garantire equilibrio tra rigore, equità e sviluppo. Non deve vivacchiare. Deve agire. Deve costruire le basi programmatiche di un'alleanza in grado di mobilitare il Paese per raggiungere obiettivi stabili di crescita e di sviluppo.

Tags: Giorgio Benvenuto Luglio - Agosto 2012

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