Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

Banche Popolari quotate in borsa: la proposta di trasformazione in spa

di GIORGIO BENVENUTO  presidente della fondazione  Bruno Buozzi

La legge del 17 dicembre scorso intitolata «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese» all'articolo 23 quater ha compiuto una mini riforma che conferma il principio del voto capitario nelle Banche Popolari per l’elezione del Consiglio di amministrazione; dà la possibilità di una portabilità massima di 10 deleghe; permette di subordinare l'ammissione a socio, oltre a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni; introduce il limite del 3 per cento del capitale per la partecipazione delle fondazioni di origine bancaria; eleva il possesso di azioni  dallo 0,5 all'1 per cento del capitale sociale salvo limiti più stringenti posti dai rispettivi statuti. Per le banche quotate è rimessa agli statuti la determinazione dei quorum per la presentazione delle liste e per  l'esercizio di altri diritti in modo da riferirli,  in alternativa, o al numero di soci o ad una percentuale di capitale. In particolare la nuova legge ha affidato ogni potere agli statuti societari.
È superata così la norma della Consob che, in alternativa a un numero minimo di soci, consentiva la presentazione di liste anche ad investitori in possesso di una quota minima di capitale pari allo 0,5 per cento, aprendo così la strada alla rappresentanza nei Consigli di amministrazione degli investitori istituzionali. Qualche giorno fa Arlene McCarthy, relatore sulla riforma della struttura del settore bancario dell'Unione Europea alla Commissione per i problemi economici e monetari, ha presentato un documento in cui si sottolinea «la necessità di un'autentica concorrenza al fine di garantire il buon funzionamento e l'efficienza di un settore bancario che finanzi l'economia reale riducendo il costo dei servizi bancari».
E a questo fine nel documento «si esorta la Commissione e gli Stati membri a collaborare in vista della promozione di una maggiore diversificazione del settore bancario dell'UE attraverso incentivi e agevolazioni che favoriscano l'orientamento al consumatore, come avviene ad esempio per modelli di attività quali le società cooperative e di credito edilizio, nonché i prestiti peer-to-peer e le casse di risparmio»; e infine «si sollecitano gli Stati membri a garantire che le rispettive autorità nazionali di vigilanza perseguano chiaramente l'obiettivo di promuovere una reale concorrenza nei settori bancari di loro pertinenza».
Nel recente report sul sistema bancario italiano il Fondo Monetario Internazionale ha sottolineato che «vede la presenza massiccia di istituzioni che non rientrano negli schemi del sistema finanziario internazionale che i mercati di solito apprezzano. È il caso delle Fondazioni bancarie e delle Banche Popolari; non sempre chi decide di migliorare le banche italiane, trasformando il sistema in schemi più moderni, avvantaggia la stabilità finanziaria o dell'economia reale; molto più spesso si fanno gli interessi di specifici investitori e del loro profitto».
Nel recente convegno su «Banche Popolari e imprese innovative» a Bergamo, il vicedirettore generale della Banca d'Italia Salvatore Rossi ha sottolineato l'importanza delle Banche Popolari, la loro prossimità al territorio, alle piccole imprese, alle famiglie. E ha ricordato che «le 37 Banche Popolari italiane costituiscono un comparto di assoluto rilievo nel nostro sistema bancario, 18 di esse sono a capo di gruppi bancari, 7 sono quotate in borsa con una capitalizzazione di 12 miliardi di euro, pari a un sesto di quella di tutte le banche italiane quotate; nel giugno 2012 le Popolari detenevano un quinto dell'attivo del sistema».
In controtendenza si è riproposto in questo contesto il superamento del sistema delle Popolari basato sul voto capitario con particolare riferimento a quelle quotate in borsa. In particolare si è affrontato il problema della BPM indicando una soluzione ibrida di una nuova governance che rafforza i poteri del Consiglio di gestione e di fatto esautora, nel Consiglio di sorveglianza, il ruolo dei piccoli azionisti, in particolare quello dei soci della cooperativa. Il dibattito che si è aperto merita  attenta considerazione. La trasformazione della BPM in una spa, società per azioni «ibrida» è vista con crescente preoccupazione per gli effetti che ne possono derivare sul radicamento del territorio e sul finanziamento delle famiglie e delle piccole imprese. La contendibilità, resa possibile dalla trasformazione in spa, accresce i timori di possibili aggregazioni bancarie con pesante indebolimento del ruolo e dell'identità della BPM.
Vanno compresi e non demonizzati i rilievi, le prese di distanze, le preoccupazioni sollevate da più parti. L'editorialista del Corriere della Sera Salvatore Bragantini adombra senza perifrasi il sospetto che la trasformazione della BPM in spa voluta dall'attuale governance (Investindustrial con l'8,6 per cento del capitale e Capital Investment Trust con l'8,2) sia difficilmente spiegabile «a meno che alcuni dei vari attori coinvolti in questa vicenda - BPM, sindacati, organizzatori e principali sottoscrittori dell'aumento di capitale, Autorità di vigilanza - fossero già al corrente o addirittura parte di accordi nascosti».
Alessandro Penati, editorialista di Repubblica, parla di «errori della Banca d'Italia»; sottolinea che «il fondo BI-Invest di Bonomi , insediato al vertice, cambia la Popolare in spa facilitando la futura monetizzazione del suo investimento e sostenendo il prezzo del titolo grazie alla sua acquisita contendibilità. Congratulazioni. Ma sarebbe stato meglio che la Banca d'Italia avesse imposto la trasformazione in spa come condizione per l'aumento di capitale richiesto: avrebbe facilitato l'ingresso di un socio stabile, magari una fusione, e assegnato il premio di controllo a chi era disposto a pagare per il 51 per cento, non l'8,6. Meglio se la trasformazione in spa delle Popolari fosse il risultato della volontà di ristrutturare il nostro sistema bancario, piuttosto che del legittimo interesse di un private equity di assicurarsi un profitto elevato».
Bragantini è tornato sull'argomento in un editoriale sul Corriere Economia del 15 aprile scorso dal titolo «Banche Popolari non è un optional», per sollevare una serie di critiche, non sempre condivisibili, al sistema di governance, al modo di uso del voto capitario, all’inamovibilità. Tutti problemi che devono e possono essere risolvibili in Parlamento. Sinora è stato impossibile adeguare la disciplina delle Popolari valorizzando i principi mutualistici e il voto capitario. Nelle ultime legislazioni, dal 2001 al 2013, si è riusciti a fare poco; solo alcune modifiche nella recente Legge di stabilità. In assenza di un’organica riforma, non si può procedere a soluzioni pasticciate, sospette di coprire interessi speculativi. Non è nemmeno possibile che le autorità di vigilanza, Consob e Banca d'Italia, realizzino cambiamenti in splendida solitudine usando lo strumento delle ispezioni, delle sanzioni, delle modifiche statutarie.
Il professor Giulio Sapelli ha stigmatizzato il comportamento dell'attuale governance della BPM, «composta da Fondi speculativi e società offshore; la BPM era nata per rispettare l'impegno sociale di Luigi Luzzatti a favore della piccola borghesia lombarda; trasformata in una banca ‘tropicale’ sembra ancora più impresentabile». Il Segretario generale dell'Associazione tra le Banche Popolari Giuseppe De Lucia Lumeno ha ricordato che «non è chiaro perché le banche che favoriscono la prossimità con il territorio e le comunità, come anche le Popolari di più grandi dimensioni, debbano essere considerate inefficienti e autoreferenziali e snaturare la propria mission per uniformarsi a un modello (quello spa) che finora ha dimostrato di essere poco resistente alla crisi, e in nome del quale si rischia di limitare, se non addirittura di cancellare, altre realtà che seguono un diverso modello».
Gli esempi di trasformazioni di una  Popolare in spa, ha precisato, non hanno portato vantaggi ma creato danni ingenti alle economie locali di cui quelle banche erano punto di riferimento. E ha citato il caso della Banca Agricola Mantovana incorporata dal Monte dei Paschi di Siena, e della Banca Antonveneta acquistata prima dagli olandesi dell’Abn-Amro, poi dagli spagnoli del Banco Santander e, infine, dal gruppo bancario senese: «Operazioni che a distanza di anni si sono rivelate negative per gli effetti sul tessuto produttivo locale e fonte di rimpianti per le comunità dove operavano». Invece Angelo De Mattia, a suo tempo apprezzato braccio destro del Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, è così intervenuto sull'argomento: «La spa ‘ibrida’ non è un pasticcio ma la costruzione di un modello; il progetto Milano? Un esempio da seguire». Questo lo scenario.
L'obiettivo di gestire efficacemente la BPM, che con il sistema dualistico di governance ha già realizzato significativi miglioramenti,  è affidato per il futuro a un progetto di trasformazione in una spa. Quale? Come? Con chi? Le proposte sono vaghe. È contraddittoria l'affermazione secondo la quale la BPM trasformata in spa manterrebbe i principi del modello Popolare attraverso un rinnovamento adeguato alle sua peculiarità. La BPM è stata risanata con un robusto ricorso agli esuberi e a modifiche dei vecchi accordi con i sindacati. Si è anche proceduto ad un generale e radicale avvicendamento dei quadri dirigenti. Non si comprende perché, considerati i risultati positivi, si debba ora procedere urgentemente e repentinamente al superamento del voto capitario e alla trasformazione in spa.
La nuova BPM si articolerà in tre strutture: 1) la Fondazione eletta con il sistema del voto capitario, finanziata con il 5 per cento dell'utile netto, designa tre membri del Consiglio di sorveglianza, uno per i soci dipendenti, uno per i non dipendenti, uno per i pensionati;  2) il Consiglio di sorveglianza di undici membri: otto eletti dal mercato ossia sei della lista di maggioranza e due di quella di minoranza, secondo le regole delle spa. Agli otto membri si aggiungono i tre designati dalla Fondazione; 3) il Consiglio di gestione, composto da sette membri, nominato dal Consiglio di sorveglianza. L'istituzione della Fondazione può essere revocata in ogni momento.
L'ipotesi proposta non ha niente a che vedere con gli altri modelli duali; è molto lontana da quelli consolidati da tempo in Germania. La banca delegherà alla Fondazione tutte le attività politiche e sociali nel pieno rispetto proporzionale delle attuali componenti, dai pensionati ai lavoratori fino ai soci non dipendenti. Alla Fondazione andrà, oltre la dotazione iniziale, il 5 per cento dei profitti netti annuali della spa bancaria. La Fondazione erogherà servizi socio-assistenziali ai dipendenti soci e a quelli pensionati, ed elaborerà non meglio precisati progetti di pubblica utilità nel territorio della banca.
La Fondazione sarà finanziata a regime dal 5 per cento dell'utile netto dell'esercizio annuale della BPM, che non distribuirà più ai dipendenti il 5 per cento dell'utile lordo e non sosterrà più le spese per il welfare, che verrà demandato alla Fondazione. È prevista l'emissione di 358,8 milioni di azioni ordinarie da assegnare gratuitamente ai dipendenti e contemporaneamente l'aumento di capitale a pagamento, mediante emissioni di azioni di categoria speciale non quotate, riservate alla costituenda Fondazione Onlus BPM, che avrà attribuito il diritto di nominare tre componenti il Consiglio di sorveglianza.
Non viene esplicitato nulla per i regimi fiscali, particolarmente onerosi,  e sugli eventuali obblighi a mantenere le azioni per un certo numero di anni. Rimangono senza risposta alcuni dubbi: le azioni vengono date solo ai dipendenti o anche agli ex dipendenti? Quale sarà il regime fiscale? Cosa verrà previsto per i soci non dipendenti? L'assegnazione sarà ugualitaria indipendentemente dal periodo di servizio e dalla percentuale di possesso finora registrata?
Oggi, secondo l'articolo 51 del Testo Unico, è stabilito che il valore delle azioni offerte ai dipendenti non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente a condizione che le azioni siano offerte alla generalità dei dipendenti; abbiano un valore complessivo non superiore a 2.065,83 euro per ciascun periodo di imposta; non siano cedute prima che siano trascorsi tre anni dalla percezione; non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro. Se il valore delle azioni assegnate supera i 2.065, 83 euro, l'eccedenza è sottoposta ai prelievi Irpef e contributivo. Inoltre, al momento della cessazione del vincolo dei tre anni, in presenza della cessione, l'intero importo del valore percepito si configurerà come plusvalenza assoggettata all'imposta sostitutiva del 12,5 per cento.
La gestione della BPM è stata per molti versi criticabile. Ha messo in crisi la reputazione e ha portato a cambiare il modello di governance. Il rimedio proposto ora è sproporzionato e controproducente. Problemi, anche più accentuati, si sono verificati anche in banche non Popolari come ad esempio Montepaschi. Insomma è sempre più evidente che non è la formula societaria - cooperativa o società per azioni - a  determinare la qualità professionale ed etica della gestione.
 A chi conviene l'operazione? La contendibilità della BPM, diventata spa, comporta molti rischi per il futuro. In caso di processi di integrazioni o di fusioni si porrà inevitabilmente il problema della riduzione degli organici e un ridimensionamento ulteriore del sistema di welfare. I vantaggi di governance connessi alla trasformazione della banca da Popolare in spa sono tutti da dimostrare, mentre i vantaggi finanziari sono evidentissimi, in particolare per due grandi investitori, Andrea Bonomi con Investindustrial che ha l’8,6 per cento del capitale, e Raffaele Mincione con Time e Life che hanno  l’8,3 per cento. Oggi le loro quote nella BPM, a dispetto delle dimensioni, contano per il principio del voto capitario per un solo voto; domani con la trasformazione in spa si valorizzerebbero in modo consistente.
La trasformazione della BPM da cooperativa in spa non produce vantaggi alla governance; i vantaggi finanziari sono invece evidenti per Bonomi, Mincione e gli altri soci di capitale. La BPM rappresenta l'anello debole del sistema delle Popolari; può determinare un effetto domino sulle altre. Può togliere al sistema del credito un attore che, dove funziona, ha molti meriti. Non è dietrologia pensare che le Popolari abbiano pestato qualche callo di troppo alle banche italiane, che sarebbero felici se si ridimensionasse la loro concorrenza sociale.
Il Segretario generale dell'AssoPopolare, Giuseppe De Lucia Lumeno, ricorda le parole di Luigi Luzzatti, fondatore e primo presidente della BPM: «Noi non facciamo solo un affare, ma compiamo un dovere; a noi non punge lo studio di soverchi lucri, ma un alto senso di solidarietà sociale». In conclusione, non si può ritenere chiusa la discussione sulla modifica della governance della BPM. Va tenuta aperta.
Vanno chiariti gli aspetti ambigui delle proposte. Vanno definiti i vantaggi per tutti gli stakeholder. I lavoratori vanno coinvolti e dovranno pronunciarsi su un progetto che va ridefinito in modo da renderlo coerente con il compito della banca: territorio, famiglie, piccole imprese, lavoratori. Accettare a scatola chiusa la trasformazione della BPM in spa significa essere vulnerabili ed inermi dinanzi ai problemi che potrebbero porsi in prospettiva per operazioni di aggregazione, speculative incontrollate, incerte.
Parafrasando Georges Clemenceau, si potrebbe dire: «Non si mente mai tanto come prima delle elezioni, durante la guerra, dopo la caccia e in presenza di operazioni di finanza». È, infine, decisivo il ruolo degli organi di vigilanza, in primis della Banca d'Italia. Ignazio Visco nel suo ultimo intervento all'Accademia dei Lincei,  ha compiuto una sana autocritica dei regolatori, neanche troppo implicita. «In questi anni ci si è fidati troppo della mano invisibile della finanza che, spesso, invece di allocare al meglio le risorse, le esportava nei paradisi fiscali, e invece di limitare le perdite, le nascondeva sotto il tappeto. Ora–ha sottolineato il Governatore della Banca d'Italia–si cambia strategia; e non solo sui derivati o sullo shadow banking». La vicenda delle Popolari e della BPM è un banco di prova. Una volta, quando si parlava del sistema del credito, si diceva che le banche italiane erano una foresta pietrificata. Ora non vorremmo che quella foresta sia scarnificata.   

Tags: Maggio 2013 banca banche Giorgio Benvenuto fondazioni bancarie banche popolari

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa