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OUA - GEOGRAFIA GIUDIZIARIA, PERCHÉ È INCOSTITUZIONALE LA LEGGE SULLA REVISIONE

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di MAURIZIO DE TILLA presidente dell’OUA, Organismo Unitario degli Avvocati

 

Nell’ambito della prospettata incostituzionalità della legge sulla revisione della geografia giudiziaria, sulla quale l’Organismo Unitario dell’Avvocatura ha chiesto un parere al prof. Giuseppe Verde, oltre a quanto abbiamo riferito nello scorso numero di Specchio Economico, l’esimio interpellato ha rilevato che la delega al Governo per la riorganizzazione sul territorio degli uffici giudiziari è stata approvata in prima lettura al Senato della Repubblica il 7 settembre 2011 durante la conversione in legge del decreto-legge n. 138 dello stesso anno; il procedimento di conversione si è poi concluso con la successiva deliberazione della Camera dei Deputati. In entrambi i passaggi parlamentari il Governo ha posto la questione di fiducia. In Senato il Governo ha presentato l’emendamento 1900 interamente sostitutivo dell’articolo unico del disegno di legge n. 2887, sul quale ha posto la questione di fiducia, inserendovi la delega al Governo per la riorganizzazione sul territorio degli uffici giudiziari, stravolgendo in tal modo il testo del decreto legge originario, introducendovi la delega e modificandone il titolo dell’originario; alla Camera la questione di fiducia ha consentito un’approvazione rapidissima, senza incidere sul testo varato dal Senato. Riguardo alla questione della legittimità di delegare l’esercizio della funzione legislativa attraverso l’approvazione di maxiemendamenti, l’allora presidente della Repubblica Azeglio Ciampi il 16 dicembre 2004, nel rinviare alle Camere la legge delega sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, ritenne opportuno richiamare l’attenzione del Parlamento su «un modo di legiferare, invalso da tempo, che non appare coerente con la ratio delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con l’articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata articolo per articolo e con una votazione finale». Da resoconti parlamentari risulta che la procedura normale di esame e di approvazione, se intesa in rapporto con il primo comma dell’articolo 72, non si è realizzata, salvo a voler considerare rispettato il comma 4 dello stesso articolo, nelle forme paradossali del procedimento legislativo svolto in Senato il 7 settembre 2011. La deliberazione di quest’ultimo non ha, quindi, rispettato l’articolo 72, comma 4 della Costituzione. Una diversa conclusione sarebbe frutto di un’interpretazione che intacca il valore normativo delle disposizioni costituzionali e che finisce per aggirare la stessa riserva di legge formale, consentendo nella sostanza una sovrapposizione fra delegante e delegato. Credo che sia di tutta evidenza l’assenza, nel procedimento legislativo seguito in Senato, di una qualsiasi fase o momento che possa rispondere alla «procedura normale di esame ed approvazione» di cui al suddetto articolo della Costituzione. Si può concordare con chi avverte che il ricorso combinato ai maxi-emendamenti, presentati direttamente in aula, e alla questione di fiducia finisca per incidere su altre norme costituzionali o, addirittura, su altre parti dello stesso articolo 72, quali l’indefettibilità del previo esame in Commissione. Va, inoltre, affrontata un’ulteriore questione. È compatibile con la disciplina costituzionale della conversione in legge del decreto legge l’approvazione di un emendamento, del tutto svincolato dal testo originario del provvedimento d’urgenza, che stravolga il corpo normativo del decreto? Il preambolo del decreto legge n. 138 del 2011 recita: «Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica, al fine di garantire la stabilità del Paese con riferimento all’eccezionale situazione di crisi internazionale e di instabilità dei mercati, e per rispettare gli impegni assunti in sede di Unione Europea, nonché di adottare misure dirette a favorire lo sviluppo e la competitività del Paese e il sostegno dell’occupazione ...». Più volte si è detto che la legge di conversione - grazie al maxi-emendamento su cui il Governo ha posto la questione di fiducia sia al Senato, che l’ha approvato il 7 settembre del 2011, sia alla Camera che ha approvato il testo varato dal Senato l’8 settembre 2011 -, ha delegato all’Esecutivo la riorganizzazione sul territorio degli uffici giudiziari. Il prof. Verde ha rilevato che, se si tiene conto del preambolo del decreto legge n. 138 del 2011, emerge con tutta evidenza che la delega per tale rioganizzazione è del tutto estranea al testo originario, e che sono del tutto disomogenee rispetto a quest’ultimo le disposizioni del secondo comma del primo articolo della legge n. 148 del 2011. Insomma, a un provvedimento provvisorio dotato della stessa efficacia della legge, adottato sul presupposto che sussistano casi straordinari di necessità ed urgenza, è seguita una legge di conversione che dispone una delega al Governo da esercitare entro un anno. È evidente che il Governo, attraverso il maxi-emendamento su cui ha posto la fiducia, ha tentato di aggirare gli articoli 76 e 77 della Costituzione, con l’intento manifesto di usare una procedura parlamentare particolare, ossia la conversione in legge del decreto legge, per raggiungere finalità prive di qualsiasi riferimento all’urgenza del provvedere, e che avrebbero dovuto realizzarsi attraverso il procedimento legislativo ordinario. Si tratta di una deprecabile prassi parlamentare sanzionata in più sedi. Nel febbraio del 2011 in una lettera ai presidenti delle Camere e del Consiglio il Capo dello Stato Giorgio Napolitano ha assunto una netta posizione sull’approvazione di leggi di conversione che riscrivono i decreti legge: «Molte di queste disposizioni, aggiunte in sede di conversione, sono estranee all’oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i principi e le norme della Costituzione. È appena il caso di ricordare che questo modo di procedere - come ho avuto modo in diverse occasioni di far presente fin dall’inizio del settennato ai presidenti delle Camere e ai Governi che si sono succeduti a partire dal 2006 -, si pone in contrasto con i principi sanciti dall’articolo 77 della Costituzione e dall’articolo 15, comma 3, della legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988, recepiti dalle stesse norme dei regolamenti parlamentari». Così continuava la lettera del presidente Napolitano: «L’inserimento, nei decreti, di disposizioni non strettamente attinenti ai loro contenuti, eterogenee e spesso prive dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, elude il vaglio preventivo spettante al presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti legge. Inoltre l’eterogeneità e l’ampiezza delle materie non consentono a tutte le Commissioni competenti di svolgere l’esame referente richiesto dal primo comma dell’articolo 72 della Costituzione, e costringono la discussione da parte di entrambe le Camere nel termine tassativo di 60 giorni. Si aggiunga che il frequente ricorso alla questione di fiducia realizza una ulteriore pesante compressione del ruolo del Parlamento». È da aggiungere che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, la legge n. 148 del 2011 può essere definita tout court come illegittima. La Corte ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni che si sono aggiunte al decreto legge durante la fase parlamentare della conversione. Il «giudice della legge» ha ritenuto illegittimo «l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto» e ciò perché, così facendo, il Parlamento «spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere e i provvedimenti provvisori con forza di legge». L’articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400 prescrive, infatti, che il contenuto del decreto-legge deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo; si tratta di una disposizione di rango primario e non costituzionale, pur tuttavia costituisce un’esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’articolo 77 della Costituzione, il quale impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento; in definitiva l’oggetto del decreto-legge tende a coincidere con quello della legge di conversione: ciò che esorbita, invece, dalla sequenza tipica profilata dall’articolo 77, secondo comma, della Costituzione è l’alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica». In sostanza la Corte costituzionale ritiene che l’approvazione di emendamenti eterogenei, durante la fase parlamentare della conversione, non sia ammissibile «per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire o no, in legge, un decreto-legge». In definitiva, i giudici costituzionali escludono che il Parlamento possa usare un procedimento legislativo di conversione in legge al posto di un altro. Il procedimento di conversione ritorna ad essere considerato come secondario, «residuale», rispetto al procedimento legislativo ordinario nel quale il Governo è «attore» ma non «dominus». È di tutta evidenza che, nel prevedere la delega, l’articolo 1 comma 2 della legge n. 148 del 2011 reca una disposizione del tutto estranea al contenuto del decreto legge n. 138 del 2011. I lavori preparatori della legge di conversione confermano ancora una volta che, fino al momento della presentazione del maxi-emendamento del Governo, non vi era stato alcun coinvolgimento della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, e questo dimostra che la materia oggetto del decreto legge originario era del tutto estranea rispetto alla riorganizzazione sul territorio degli uffici giudiziari. In conclusione, e in sintonia con quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 22 del 2012, si può affermare che il secondo comma del primo articolo della legge n. 148 del 2011, inserito nel corso del procedimento di conversione del decreto legge n. 138 del 2011, è del tutto estraneo alla materia e alle finalità del medesimo, e si deve ammettere che le sue disposizioni sono costituzionalmente illegittime per violazione dell’articolo 77, secondo comma, della Costituzione. ■

Tags: Novembre 2012 governo Maurizio de Tilla avvocatura giustizia

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