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una task force, una sorta di caschi blu per smaltire la montagna di cause arretrate

LUCIO GHIA

Con l’emanazione del decreto legge n. 132 del 2014 il Governo ha compiuto un ulteriore notevole passo avanti per accelerare la giustizia civile che presenta un pesante arretrato. Si tratta di più di 5 milioni di cause che attendono di essere definite imprigionando da anni interessi economici che superano l’ammontare del prodotto interno italiano. Molti sono gli osservatori che seguono con «occhiuta» attenzione l’inefficienza della giustizia civile.
Come ho avuto modo di sottolineare nei numeri precedenti di questa rivista, attraverso l’annuale pubblicazione del Doing Business la Banca Mondiale ha sottolineato, anche quest’anno, tra le negatività che contraddistinguono l’Italia, la tardività e l’inefficacia delle risposte giudiziarie che il sistema riesce a fornire ai cittadini e a coloro che le attendono. Anche questo indicatore negativo ha contribuito a relegare l’Italia al 65esimo posto nella classifica del doing business, con quanto consegue sulla sua capacità di attrarre finanziamenti stranieri.
Gli investitori dei quali la nostra economia ha molto bisogno avranno, infatti, 64 scelte più favorevoli rispetto a quelle italiane. Che il sistema giudiziario non funzioni come vorremmo è purtroppo noto, ma l’esempio che segue è emblematico. In questi giorni ho ricevuto dal Tribunale di Modena un avviso di Cancelleria in cui mi si comunicava che una causa «spedita a sentenza» nel lontano 2006 era stata «rinvenuta» in Cancelleria pochi giorni orsono, e quindi era stata fissata una nuova udienza, dopo 9 anni, perché la causa fosse inviata di nuovo «in decisione».
Infatti è proprio «la decisione» della causa il punto focale della formazione del drammatico arretrato che soffoca la giustizia civile. L’iter processuale odierno presenta troppe occasioni per non decidere o per rinviare le decisioni. Ora, pur plaudendo all’iniziativa governativa di affidarle all’«arbitrato forense», la definizione delle cause appare di difficile attuazione.
Infatti la concorde richiesta delle parti di arbitrato nella maggior parte dei casi rappresenta una condizione impossibile da raggiungere perché chi sa di avere torto non ha alcuna fretta di essere condannato a pagare gli importi dovuti, e non chiederà di promuovere il procedimento arbitrale. Come spesso avviene, l’attenzione dei mass media è stata deviata da un falso problema, quello della lunghezza delle ferie dei magistrati, che è stata ridotta da 45 a 30 giorni.
Si è detto «Riduciamo le ferie ed abbrevieremo i tempi del giudizio». In realtà dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno, ovvero anche durante il periodo feriale dei magistrati, sono in funzione in tutti i Tribunali, le Corti d’Appello e di Cassazione, Sezioni feriali che assicurano, anche a ridosso di Ferragosto, la trattazione di problemi urgenti. Alcune aree, considerate delicate e sensibili dal Legislatore, sono peraltro già sottratte alla sospensione del periodo feriale; si pensi alle cause di lavoro, a quelle fallimentari, penali ecc.
In attesa che il legislatore rimuova la «concorde» richiesta delle parti, guardiamo anche a soluzioni diverse di possibile attuazione. Il freno più grave risiede nell’attuale struttura del processo civile, che privilegia la difesa scritta. Si pensi alle lungaggini indotte dall’articolo 183 del Codice di Procedura penale che impone ben tre difese nella fase preistruttoria, centinaia di pagine spesso inutili, quando basterebbe una sola udienza per la presentazione dei problemi legati alle prove, per la loro discussione e per la decisione sui mezzi istruttori da parte del Giudice.
Il problema dei 5 milioni e più di cause arretrate risiede nella difficoltà, che presenta l’attuale sistema giudiziario, di fornire «decisioni». Il giudice dovrebbe decidere, questo è il suo compito funzionale. In realtà questa mole enorme di arretrato dimostra il contrario. L’incapacità di decidere in tempi brevi e, quindi, il prolungamento dei processi si basano sul «rinvio elevato a sistema», per cui ciò che non viene fatto oggi finisce per non essere fatto mai.
Infatti i giudici possono essere promossi o andare in pensione; i successori dovranno studiare la causa ex novo, ma nel contempo gestire i nuovi processi loro assegnati. Si crea un circuito che porta a durate infinite e ad episodi di gravità imbarazzante come quello sopra segnalato, all’allontanamento di coloro che potrebbero investire capitali nel nostro Paese, ai costi gravanti sulle imprese che vedono i loro crediti «ingessati» in cause infinite, ai costi che il Paese affronta per il settore giustizia, allo scoramento dei giusti, alla protervia degli impuniti ovvero dei debitori per ciò che attiene al processo civile, nel quale si discute di quattrini.
Al di là dei peana diretti a dimostrare che i giudici italiani a livello europeo manifestano una produttività esemplare, resta il fatto che è necessario trovare soluzioni perché il giudice decida in tempi solleciti, e soprattutto perché le decisioni vengano immediatamente eseguite. Sono necessarie precise barriere temporali che, una volta superate, facciano scattare procedimenti e interventi atti ad assicurare la decisione della causa.
Esistono in realtà prescrizioni relative alla necessità di depositare le sentenze entro determinate fasce: 90 giorni e in alcuni casi 60 giorni. Ma che succede se questo non avviene? E, soprattutto, che cosa succede per i fascicoli spesso voluminosi che costituiscono l’arretrato, quando questi tempi risultino abbondantemente superati? Il problema centrale non è solo quello di introdurre termini non solo indicativi o «perentori» ed anche «ordinatori», ma privi di sanzione, entro i quali il Giudice dovrà depositare la sentenza, ovvero dovrà decidere.
Se un avvocato non deposita nei termini assegnati dalla legge un determinato scritto difensivo, una comparsa, una conclusionale, un atto di appello, un ricorso per cassazione, decade dal potere di farlo successivamente, con pesanti conseguenze sul piano della responsabilità professionale. Per le «sentenze» non è così: per il magistrato lento nel decidere sono, in realtà, previste conseguenze di carattere disciplinare, irrogate dal Consiglio Superiore della Magistra-tura, ma il problema dei 5 milioni e più di cause arretrate non viene risolto. Spesso molte di queste cause si trovano su un binario morto.
È evidente quindi che occorrono misure e interventi eccezionali, affidati a nuovi organismi giurisdizionali che studino il fascicolo e assumano le decisioni di quelle cause in attesa e le depositino in tempi brevi. Nella grave situazione attuale è necessario dotarsi di forze, di «caschi blu» esperti della materia e pronti a scendere in campo per decidere le cause arretrate. Penso ai molti magistrati nell’ultimo anno andati in pensione perché penalizzati dai recenti provvedimenti che hanno inciso sui loro stipendi rendendo più vantaggioso il pensionamento. Penso ai circa 400 magistrati che abbandoneranno il servizio nel prossimo anno per raggiunti limiti di età, ma anche agli avvocati con più di 40 anni di professione, ai notai, ovviamente privilegiando, nell’assegnazione delle cause, le specializzazioni di ciascuno.
Sono costoro i possibili candidati a divenire le «forze speciali» della Giustizia civile, preparate funzionalmente nei molti anni in cui hanno giudicato. Perché lo Stato non può, in periodi di emergenza come l’attuale, mettere a frutto l’investimento compiuto nella loro lunga preparazione, ed eliminare con il loro apporto l’arretrato civile? Vi sarebbe un apparente aumento dei costi giudiziari, collegati alle decisioni, perché anche le «forze speciali», ancorché costituite da pensionati, andranno retribuite per ogni decisione depositata. Ma tali costi sarebbero abbondantemente compensati dal gettito fiscale collegato alla tassazione delle sentenze. Per fare un esempio, il 3 per cento, tassa media di registro attuale, di mille miliardi di euro frutta 30 miliardi ai quali lo Stato oggi rinuncia.
Ma che fare per il futuro in caso di reiterati ritardi nel deposito delle sentenze da parte dello stesso magistrato? Le ripetute lentezze decisionali dovrebbero comportare la loro assegnazione a Tribunali o a Corti d’Appello che non presentino i carichi di lavoro di quelli più affollati. Infatti la mappa virtuale dell’arretrato mostra volumi più consistenti, di giudizi in attesa di decisione, nei grandi Tribunali di Roma, Milano, Napoli, Reggio Calabria. Torino, invece, rappresenta un esempio di gestione virtuosa da imitare.
Nonostante le positive novità introdotte dal decreto legge n. 132 del 2014, un’altra area in cui sarebbe opportuno inserire forze nuove e diverse dalle attuali è quella delle procedure esecutive, nella quale gran parte dell’arretrato riguarda l’esecuzione delle sentenze. I debitori infatti attendono il momento più opportuno per opporsi all’esecuzione, dopo un paio di anni almeno dal pignoramento, ovvero dall’inizio della procedura, quando è stata già eseguita una costosa consulenza sul valore dell’immobile. È allora che si chiede la sospensione dell’esecuzione, ad esempio perché il consulente tecnico d’ufficio nominato dal Giudice non ha valutato congruamente le rifiniture di pregio esistenti all’interno del bene oggetto dell’esecuzione.
Non si comprende perché il Giudice debba controllare la regolarità di un iter commerciale che potrebbe essere affidato, per ciò che non comporti fasi contenziose, ad organismi privati. Molti di questi garantiscono trasparenza, informazione, pubblicità e il miglior risultato economico dalla vendita dei beni pignorati. Case d’aste, anche on line, sono attrezzate per svolgere questa attività. Se si liberasse quest’area, molti magistrati, oggi impegnati nelle esecuzioni mobiliari, immobiliari e fallimentari, potrebbero essere restituiti alle funzioni giurisdizionali.
Si tratta di modeste iniziative che potrebbero essere facilmente attuate dal Governo se ci si avvicinasse di più ai problemi concreti della vita di tutti i giorni. Le novità del decreto legge n. 132 dell’agosto scorso vanno in questa direzione, ma non appaiono sufficientemente calibrate sulle effettive risorse a disposizione, insufficienti rispetto agli obiettivi da raggiungere. Chi detiene i cordoni della borsa internazionale e indirizza gli investimenti stranieri, chi stabilisce il rating di un Paese, fornisce indicatori di efficienza e indirizza verso soluzioni concrete del problema giustizia che, specie oggi, appesantisce la vita degli italiani e distoglie i capitali esteri da investimenti in Italia.   

Tags: Novembre 2014 Lucio Ghia giustizia

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