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CORSERA STORY. GIORNALISTI, POLITICI, POLLI E GIRARROSTI

Tra i giornalisti ve ne sono moltissimi, sicuramente la maggioranza, che non stanno né a destra né a sinistra, né in piazza né nel Palazzo, né in tv né sui colophon dei giornali; che non sono né portavoce né pierre, né parlamentari né pubblici amministratori, né mezzibusti né editorialisti. Sono semplicemente giornalisti, di certo i più amanti della libertà di stampa e i più contrari alle censure, tipo la legge sulle intercettazioni varata dall’attuale Governo nell’interesse di pochissime persone. Non capita quasi mai che uno di loro sia intercettato; e se lo fosse, non si scoprirebbe nulla di diverso dall’abituale comportamento di intercettatori, pubblici ministeri, magistrati.

Questa stragrande maggioranza di giornalisti non ha nulla da nascondere, né da temere. Sia perché sono onesti, ligi alle leggi, alieni dalle trasgressioni; sia perché, anche a prescindere dall’onestà, non hanno nulla da perdere in quanto non hanno ottenuto nulla, legalmente o illegalmente, che non fosse stato, dagli stessi, faticosamente sudato e guadagnato. Molti di questi giornalisti sono stati tentati di partecipare alla manifestazione di protesta ufficialmente svoltasi a Roma il 3 ottobre scorso, in Piazza del Popolo, per sostenere la libertà di stampa; ma poi non ci sono andati.
Il motivo? Hanno capito che sarebbero stati strumentalizzati da una parte nelle sue accanite lotte contro la parte opposta. Avrebbero voluto manifestare contro la strumentalizzazione di fatti privati compiuta dalla stampa in generale, ma sarebbero stati strumentalizzati dall’una o dall’altra parte. Non avendo ricevuto nulla da nessuno e quindi non dovendo ringraziare alcuno - mentre molti dovrebbero invece a loro qualcosa -, hanno ritenuto, sia pure a malincuore, che l’unica strada da seguire fosse quella di stare lontano da un’artificiosa baraonda, per non uscirne segnati.

Forse, guardando la televisione, la gente pensa che i giornalisti siano inevitabilmente o di una parte o dell’altra, senza una via di mezzo; che gli uni siano capaci di attrarre la maggioranza dei colleghi, vista la partecipazione, alla manifestazione del 3 ottobre, dei vertici della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, sindacato dominato da gruppuscoli di giornalisti di una parte che oggi, presumibilmente, si equivalgono numericamente a quelli della parte opposta.
Gli organizzatori di quella manifestazione hanno parlato della partecipazione di 300 mila persone; secondo la Polizia, erano sì e no 60 mila. Tutti, e soprattutto i giornalisti, sanno che le cifre non hanno alcuna importanza: quando descrivono sui loro giornali i «biblici» esodi di Ferragosto, sparano cifre di milioni: due, tre, quattro. Chi ha mai contato auto, treni, aerei, navi e viaggiatori in movimento? In base a quali criteri si sostiene che si tratti di numeri veri, verosimili o falsi?
Ma anche se in Piazza del Popolo fossero confluiti 300 mila amanti della libertà di stampa, giunti da regioni vicine e lontane a bordo di treni e bus turistici, quale libertà di stampa avrebbero reclamato? Quella di una parte? Ma non è uguale a quella della parte opposta? O quella di alcuni partiti? O di giornali che pullulano a destra e a manca, lautamente foraggiati da finanziamenti pubblici? E chi tutela la libertà di stampa di quegli organi che, invece, non percepiscono provvidenze pubbliche?

Dico questo per ricordare che esiste, nella realtà, un grande numero di giornalisti che non stanno né di qua né di là. E neppure al centro; che non sono rappresentati, né vogliono esserlo, da nessuna forza politica. Ma che aderiscono, per così dire, a un solo partito, quello del buon senso, del raziocinio, della moderazione, del lavoro, del sacrificio, del guadagno onesto realizzato con il sudore, con i sacrifici, con la sopportazione.
Tutti costoro non possono considerare loro colleghi quanti hanno abbandonato la professione giornalistica per fare altro, al servizio di forze politiche o di grandi interessi economici; e che, pur agendo politicamente, organizzando e partecipando a manifestazioni di parte, attaccando avversari per conto di politici o di potenti, continuano a dichiararsi giornalisti. Non si può negare a nessuno di cercare di fare carriera, di migliorare la propria situazione economica e sociale, e di riuscirvi. Ma, raggiunti determinati risultati, dovrebbero uscire dalla categoria, dimettersi dall’Ordine dei Giornalisti.
Tutti gli uomini hanno qualche scheletro nell’armadio. Errori casuali, peccati veniali, comportamenti passionali, Possono chiamarsi flirt consumati in gioventù in luoghi pubblici, sul prato o in automobile; guida contromano o a velocità eccessiva; amnesie nel dichiarare i redditi; azioni spesso perseguibili penalmente in quanto così sta scritto sui Codici. Anni fa dimenticarsi di rinnovare la patente di guida era reato, si finiva sul banco degli imputati come i ladri e i rapinatori.

Ci sono comportamenti considerati reati dai Codici, ma non ritenuti infamanti dalla gente. Tuttavia per un uomo pubblico, per un rappresentante del popolo che sceglie volontariamente questo lavoro traendone per di più notevolissimi vantaggi, anche violare un divieto di sosta è disdicevole. Non per il fatto in sé, ma perché rivela il disprezzo di ordinanze comunali e pertanto di leggi statali e soprattutto di norme non scritte di convivenza civile.
Una classe politica che toglie ai magistrati lo strumento delle intercettazioni per violare impunemente le leggi non solo favorisce la delinquenza, ma diffonde nella massa la convinzione che il malcostume e la corruzione siano comportamenti leciti; così si giunse a considerare lecite, negli anni 80, prima le piccole innocenti «mazzette», poi le miliardarie tangenti. La massa dei giornalisti sta in finestra, non briga per essere riconosciuta come categoria, non pensa di fondare un altro partito, né di ottenere posti, favori e benefici secondo la prassi dei più verginali tutori di cinciallegre che, all’ombra dei boschi, si spartiscono posti e miliardi.
Né fare i «volontari» pagati dalle Regioni, né appartenere ad associazioni di consumatori che percepiscono rimborsi dal Governo; o di cacciatori dai carnieri imbottiti di fagiani per loro allevati dalle Province. Non vogliono iscriversi neppure ai circoli sportivi, ai campionati di bridge, alle bocciofile di periferia. Vogliono solo vedere come finirà. La storia è piena di polli che si litigano il granturco davanti al girarrosto.

V. C.

Tags: stampa Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti libertà di stampa novembre 2009

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