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minaccia terroristica internazionale: rapporto dei servizi al parlamento

Uno dei principali temi trattati nella relazione 2013 dei Servizi segreti sulla politica dell’informazione per la sicurezza presentata nello scorso mese di marzo al Parlamento riguarda la perdurante minaccia terroristica internazionale di matrice jihadista. Nella relazione si rileva come i delicati processi di transizione in Libia, Tunisia ed Egitto abbiano in particolare fornito un rinnovato vigore alle formazioni Salafite-jihadiste. La prosecuzione del conflitto in Siria e soprattutto la sua marcata jihadizzazione hanno conferito nuovi spunti propagandistici ad Al Qaeda, tuttora fonte primaria di ispirazione ed istigazione al compimento di atti terroristici.
Emblematico, in tal senso, l’appello lanciato ai propri seguaci dal leader Ayman al Zawahiri, il quale, in occasione del dodicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, ha esortato a «sferrare un vasto attacco contro gli Stati Uniti, anche se per farlo dovessero servire anni di pazienza». In questo contesto particolarmente insidiose appaiono quelle formazioni qaediste affiliate che, pur focalizzate in ambiti prettamente regionali, restano comunque allineate su un orizzonte strategico di «guerra globale» all’Occidente.
L’organizzazione Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) appare ancora la filiale più strutturata e pericolosa, sia nella sua espressione più propriamente terroristica, nel Nord della Algeria, sia per la vitalità delle sue frange a forte caratterizzazione criminale, nell’area sahelo-sahariana (specie in Mali), ove si sono evidenziate sinergie con al Mourabitoun, nato dalla recente fusione tra il gruppo dei «Firmatari col Sangue» guidato da Mokhtar Belmokhtar, il «Movimento per l’Unicità ed il Jihad nell’Africa occidentale (MUJAO), e con la formazione nigeriana Boko Haram.
Il rischio è che AQMI potrebbe accrescere il ruolo di primo piano in Africa, con un aumento delle proprie capacità logistiche ed operative attraverso il rafforzamento dei collegamenti con le varie anime jihadiste locali e l’opera di proselitismo, specie all’interno delle fasce giovanili. Particolarmente frastagliato, secondo i Servizi, si presenta poi il novero delle formazioni attive nel Sinai, regione che si conferma crocevia dei traffici di armi e critica cerniera tra i quadranti di crisi a Sud e ad Est del Mediterraneo.
Nel contesto mediorientale il conflitto siriano ha evidenziato la crescente determinazione della componente filo-qaedista ad influenzare ideologicamente il fronte anti Assad, in un quadro di condivisione che lascia pensare, in prospettiva, al perseguimento di un asse jihadista tra Siria, Libano e Iraq, con propaggini nello Yemen. In quest’ultimo Paese il gruppo saudita/yemenita «Al Qaeda nella Penisola Arabica» (AQAP), malgrado le sconfitte militari, ha evidenziato negli ultimi tempi un sostenuto attivismo, continuando a coltivare ambizioni offensive di respiro transnazionale.
Nel Corno d’Africa la formazione somala «al Shabaab»», divisa nel proprio interno tra componenti tribali-nazionaliste e filo-qaediste, pur mantenendo il focus operativo sulla propria area di insediamento, continua a rappresentare una concreta minaccia per cittadini ed interessi europei non solo in loco, ma anche nei Paesi limitrofi, come nel caso dell’assalto del 21 settembre 2013 al centro commerciale Westgate a Nairobi.
Particolare rilievo viene dato nella relazione al rischio del «reducismo». Il flusso di volontari verso i teatri di conflitto ha alimentato la possibilità che combattenti di estrazione «occidentale», dopo aver sviluppato sul posto legami con gruppi qaedisti ed acquisito sul campo particolari capacità operative, decidano di ridispiegarsi in Paesi occidentali, Italia compresa, per attuare progetti ostili ovvero per tentare di impiantare reti radicali.
Il fenomeno dei cosiddetti «foreign fighters» vede ancora una volta coinvolti diversi Paesi europei, compresa l’Italia. Si tratta non solo di soggetti di origine straniera residenti a qualsiasi titolo nei vari Paesi, ma anche di convertiti all’Islam radicale. Significativa, al riguardo, la morte in Siria, il 12 giugno 2013, di un cittadino italiano, unitosi nel dicembre 2012 all’insorgenza islamista contro Assad al termine di un percorso di radicalizzazione culminato nella disponibilità al sacrificio personale.
La presenza di mujahidin pronti a fornire il proprio contributo alla «causa» si evidenzia soprattutto tra le file degli «islamonauti», che si indottrinano sul web e animano gruppi di discussione e social forum. Nella visione di un «conflitto globalizzato», la propaganda d’area punta a coinvolgere i musulmani in Occidente di tutte le generazioni, compresi homegrown e convertiti, esortandoli a recarsi nei teatri di battaglia oppure a compiere direttamente attacchi nei Paesi di residenza contro i «miscredenti», in rappresaglia alle presunte aggressioni perpetrate contro la nazione musulmana dagli Usa e dai loro alleati.
Sempre a fini di proselitismo, si enfatizzano presunte discriminazioni o persecuzioni cui sarebbero sottoposti i musulmani per la loro appartenenza religiosa o politiche restrittive in tema di immigrazione e integrazione, spesso dipinte come anti-islamiche. Per rendersi conto della sofisticata strategia propagandistica di Al Qaeda basta leggere la rivista in lingua inglese «Inspire», curata da AQAP, dichiaratamente rivolta a un uditorio presente nei Paesi occidentali, in un’ottica di proselitismo e di incoraggiamento alla jihad individuale.
L’edizione n. 11 ha riservato ampio spazio all’apologetica esaltazione dell’attentato del 15 aprile 2013 a Boston, definito Blessed Boston Bombings (BBB), e dei suoi autori, i fratelli Tamerlan e Dzhothar Tsanaev, il primo dei quali, ucciso durante un conflitto a fuoco con la polizia statunitense, viene celebrato come martire.
L’azione, presentata come conseguenza delle scelte politiche degli Usa che avrebbero portato, negli anni, all’uccisione di musulmani in varie parti del mondo, viene qualificata come un «assoluto successo» per tempistica (15 aprile, «fax day» per gli Stati Uniti e «Patriot’s day» in Massachusetts), teatro prescelto la maratona di Boston, e modalità operative due ordigni esplosivi artigianali contenuti in pentole a pressione, posti in prossimità della linea del traguardo; ma anche per i conseguenti «danni collaterali» rappresentati da più onerosi stanziamenti di risorse per il rafforzamento delle misure di sicurezza.
Espressioni di plauso e soddisfazione sono state rivolte anche in relazione all’uccisione a Londra di un soldato britannico a colpi di machete da parte di due homegrown di origine africana, convertiti radicalizzati. Anche in questo caso l’episodio viene presentato come la giusta risposta all’uccisione di musulmani in Afghanistan da parte di militari britannici. Si alimenta così il fenomeno della jihad individuale, caratterizzato da azioni compiute con mezzi artigianali -dall’ordigno fai-da-te all’arma da taglio - da soggetti o micro-gruppi auto-organizzati, le cui iniziative sono ritenute in grado di indebolire il «nemico», accrescendone la vulnerabilità.
Significativo, al riguardo, è il fatto che quasi tutti gli attentati compiuti negli ultimi cinque anni in Europa siano riconducibili ad estremisti solitari, come è stato il tentato attacco del libico Mohamed Game alla caserma Santa Barbara a Milano nell’ottobre 2009. Sicché, l’eventualità di un’estemporanea attivazione di self starter resta, al momento, la principale insidia per il nostro Paese.
È infatti in crescita il numero di soggetti che si automotivano e si autoreclutano alla «causa» attraverso i siti d’area su internet. È così che per i mujahidin di nuova generazione, sia originari dei Paesi islamici, nati o trapiantati in Italia, sia convertiti, l’adesione a gruppi di discussione in internet, dove contribuiscono alla divulgazione dell’ideologia estremista, anche traducendo in lingua nazionale testi dottrinali e messaggi di leader qaedisti, rappresenta spesso il primo passo dell’impegno militante.
In una fase successiva alcuni manifestano la propensione a passare dall’arena virtuale al mondo reale, cercando di stabilire contatti con formazioni terroristiche consolidate e di trovare una strada per raggiungere i teatri di conflitto o per pianificare autonomamente progetti offensivi, anche attraverso ricerche svolte in rete allo scopo di reperire istruzioni sulla fabbricazione artigianale e sull’uso di esplosivi. Emblematico, al riguardo, l’arresto il 12 giugno 2013 di un giovane marocchino impegnato in attività estremista sul web e desideroso di abbracciare la jihad.
Oltre che sul web, permane comunque l’attenzione dei nostri Servizi su attività di proselitismo, svolte da persone orientate verso posizioni oltranziste e verso pericolose interazioni che le stesse stabiliscono all’interno o ai margini di alcuni centri di aggregazione. In questa cornice si colloca l’espulsione di alcuni stranieri per motivi di sicurezza nazionale, nonché l’indagine dell’Autorità giudiziaria di Bari che ha portato all’arresto di persone accusate di associazione con finalità di terrorismo internazionale e istigazione all’odio razziale.
Particolare rilievo viene dato, nella relazione, all’azione di contrasto contro il finanziamento del terrorismo, sottolineando come la capacità operativa di una struttura terroristica transnazionale dipende non solo dalla possibilità di finanziarsi, ma anche dall’abilità di movimentare i fondi di cui dispone sfuggendo ai controlli. Le tecniche di trasferimento del denaro impiegate dalle organizzazioni terroristiche favoriscono, infatti, la nascita e il radicamento di un mercato finanziario parallelo nel cui ambito opera una fitta rete di operatori non convenzionali, quali money transfer e hawala dars.
Tale mercato, se da una parte supplisce alle carenze del sistema bancario, dall’altra rappresenta anche un circuito privilegiato per il riciclaggio di proventi illeciti derivanti da reati commessi a fini di finanziamento del terrorismo e per il successivo trasferimento di fondi. Uno specifico richiamo è fatto nella relazione ai cash couriers, in continua crescita, poiché tale forma soddisfa i criteri di flessibilità, sicurezza, affidabilità ed economicità anche in relazione alla possibilità di sfruttare viaggiatori legali.
Un ulteriore fattore che ha contribuito alla diffusione di questi soggetti è la loro capacità di passare inosservati, soprattutto quando ad essi non avviene affidata la responsabilità del denaro, per sua natura difficilmente occultabile, ma di merci di valore, ad esempio diamanti, che non sono rilevate dai metal detector e che hanno un valore elevato e universalmente riconosciuto.
Quanto al fenomeno della pirateria che resta una delle principali fonti di finanziamento, alla sua contrazione in Somalia corrisponde una forte ascesa nel Golfo di Guinea. E se in origine l’obiettivo era rappresentato esclusivamente da navi cisterna per il trasporto di prodotti petroliferi raffinati, che venivano venduti attraverso canali clandestini di riciclaggio, più recentemente gli attacchi, soprattutto quelli lanciati dai nigeriani, si sono estesi alle navi di carico e alle navi portacontainer, accrescendo così il loro livello di pericolosità ed efficacia. L’evoluzione del fenomeno è comunque sottoposta a un attento monitoraggio, considerato che in Nigeria le nostre compagnie di navigazione hanno importanti interessi economici.  

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