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SEN, UNA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE SPENTA SUBITO ALL’ALBA

L’Alcoa di Porto Vesme, in Sardegna

a cura di UBALDO PACELLA

L'eclissi anticipata del Governo di Mario Monti ha di fatto spento sul nascere la strategia energetica nazionale impostata con impegno e caparbietà dal dicastero dello Sviluppo Economico e fortemente voluta dal ministro Corrado Passera. Il documento programmatico richiede incisive correzioni di rotta, peraltro già ampiamente tracciate nel corso di un apprezzato confronto pubblico sollecitato via web, nonché da una fitta ragnatela di incontri con gli operatori insieme alle organizzazioni sociali più rappresentative, dalla Confindustria ai sindacati, ai commercianti, all’ associazionismo. Ora questo sforzo lungimirante rischia di essere vanificato dalle dimissioni dell’Esecutivo, nonché dallo scioglimento delle Camere. Una strategia energetica è di fondamentale importanza per un Paese manifatturiero di trasformazione come l’Italia. Il costo dell’energia molto più elevato di quello medio europeo, soprattutto per l’elettricità, comporta per le famiglie un aggravio del 30 per cento rispetto a quelle d’oltralpe, e per l’industria un gap negativo di almeno il 20 per cento, con una evidente perdita di competitività delle merci prodotte nel nostro Paese. Appare addirittura superfluo ricordare i casi come quello dell’Alcoa di Porto Vesme in Sardegna, dove industrie di primo piano nella produzione di alluminio decidono di chiudere gli impianti e nessun compratore internazionale si fa avanti, proprio perché i costi fuori controllo dell’energia non permettono di sostenere nemmeno lavorazioni ad elevato coefficiente di qualità. Dobbiamo sottolineare come nel nostro Paese non sia stato adottato un piano energetico nazionale da ben 24 anni. Un’epoca geologica se rapportata alle trasformazioni geopolitiche o sociali avvenute in questi 24 anni. Ciò spiega le gravi alterazioni del sistema che si riverberano nell’estrema fragilità dell’apparato sociale e produttivo italiano. Alti costi, redditività modesta, dipendenza delle fonti di approvvigionamento non bilanciata, impianti obsoleti, reti infrastrutturali carenti, centrali elettriche per lo più datate, scarsa innovazione anche nel campo delle energie rinnovabili, come nelle tecnologie, senza trascurare gli effetti della sovracapacità nella produzione elettrica, che determina una sostanziale stasi degli investimenti in un settore cruciale per gli assetti futuri del Paese. Un quadro a dir poco sconfortante al quale nessun Governo, dal 1988, ha sentito l’esigenza di mettere mano. Si è lasciato di fatto, in modo surrettizio, che le strategie energetiche italiane fossero appannaggio delle due grandi multinazionali Eni ed Enel. Protagoniste in positivo del mercato energetico internazionale, va sottolineato senza malcelata soddisfazione soprattutto in presenza di un progressivo impoverimento generalizzato dell’industria italiana, relegata a livello marginale per quanto riguarda i prodotti tecnologici di base o di largo consumo, anche quelli storici sui quali si è costruito per decenni lo sviluppo italiano, come la chimica, l’automobile o la meccanica. I due colossi energetici hanno dominato il mercato, nel bene e nel male, disegnando la mappa delle necessità energetiche del Paese, ma in qualche caso orientandone addirittura la politica estera. La scelta di privilegiare il gas naturale, la costruzione di gasdotti dal Nord Africa e dall’Est continentale, la sottoscrizione di contratti oggi valutati come molto onerosi, al pari di un’efficace azione dinamica sui mercati, hanno consentito alle nostre multinazionali di svolgere un ruolo attivo, in alcuni casi determinante sullo scacchiere mondiale. I cittadini e le imprese, per altro verso, ne hanno pagato il conto. La mancanza di adeguati indirizzi solleva fondati quanto inquietanti dubbi sulle scelte energetiche degli ultimi anni, prese d’infilata dal fuoco di fila delle strumentalizzazioni ambientaliste, dalle indecisioni delle Regioni e delle autorità locali cui un federalismo strampalato ha finito per affidare scelte di sistema di chiaro interesse nazionale. L’emotività, unita a un’evidente mancanza di informazioni chiare, trasparenti, non etero-dirette da questa o quella lobby, ha consentito uno spropositato vantaggio competitivo alle fonti rinnovabili, sussidiate da una valanga di fondi pubblici i cui oneri ricadono direttamente sulle bollette elettriche pagate da imprese e da milioni di famiglie e consumatori. Vi è stato un massiccio trasferimento di risorse finanziarie dai cittadini ad alcuni produttori, senza benefici né per l’indotto tecnologico e industriale italiano, né per la competitività integrata dell’intero sistema energetico nazionale. Una montagna di miliardi di euro spesa sino al 2020 e sottratta dalle nostre tasche attraverso i continui ritocchi del costo dell’energia elettrica. Assistiamo di pari passo, per ciò che riguarda gli idrocarburi e i prodotti petroliferi, ad un andamento dei prezzi non solo squilibrato in rapporto ai partner europei, ma sostanzialmente slegato dall’andamento del costo del petrolio, con buona pace dei tentativi dei petrolieri italiani di edulcorare la realtà, o di avventurarsi in nebulose spiegazioni, ammantate di vaghezza rispetto alla crudeltà delle cifre alla pompa, che tutti noi registriamo giornalmente. Questi elementi potrebbero apparire, ad una prima osservazione, minuti o marginali rispetto allo sforzo profuso dal Governo e dal Ministero dello Sviluppo Economico per tracciare le linee di un’efficace strategia energetica nazionale. In verità ci garantiscono l’obiettivo opposto, cioè misurare quanto determinante possano essere queste scelte, quanto influiscono sulla vita di decine di milioni di persone, da chi sono decise, a quali interessi corrispondono e, soprattutto, se sono utili e funzionali allo sviluppo dell’Italia, o precipuamente a interessi particolari, garantendo lucrosi guadagni a pochi azionisti a scapito dell’intera collettività e del sistema produttivo. Quanto sia delicato il settore energetico nelle sue interconnessioni con gli aspetti produttivi è reso evidente dalle richieste pressanti che vengono da ogni tipo di impresa. L’Anfia, che rappresenta le Case automobilistiche, di recente, in un incontro pubblico cui prendeva parte il presidente del Consiglio Mario Monti, ha chiesto esplicitamente una consistente riduzione, pari almeno all’80 per cento della componente A3 - quella che finanzia il fotovoltaico - per le aziende ad alta intensità di energia, come quelle del settore auto. «Per le aziende come le nostre che hanno un’ incidenza dei costi dell’energia elettrica del 3 per cento sul valore della produzione, è un punto cruciale un differenziale medio di costo dell’energia elevato come quello che divide l’Italia dalla media dell’Unione Europea, che causa una perdita netta di competitività nell’ordine dell’1 per cento del margine operativo lordo», ha ricordato il presidente dell’Anfia Roberto Vavassori. Gli interessi che ruotano attorno al settore energetico, soprattutto nelle economie avanzate, assumono dimensioni macroscopiche non solo e non tanto nei valori monetari, quanto nelle scelte strategiche di medio e lungo periodo, come pure nelle linee di politica estera degli Stati. Queste ragioni, confessate a denti stretti, hanno fino ad oggi impedito, ad esempio, che l’Unione Europea adottasse una direzione comune dell’energia, quando questa avrebbe garantito nei mercati e nelle relazioni internazionali margini di contrattazione ed efficacia dei risultati di gran lunga migliori di quelli realizzati con lo status quo delle scelte strategiche nazionali. Soccorre, al riguardo, la memoria di Enrico Mattei il fondatore dell’Eni, una personalità eclettica di straordinarie qualità che seppe ben comprendere quanto cruciali fossero, per lo sviluppo armonico dell’Italia, i temi dell’energia, del suo approvvigionamento, della dipendenza da Paesi e mercati stranieri. Il 2012, quasi per concomitanza di eventi, segna il cinquantenario sia della scomparsa di Mattei nell’ oscuro incidente aereo di Bascapè, sia della nascita dell’Enel in seguito alla nazionalizzazione delle imprese elettriche. Un doppio appuntamento che ha offerto l’occasione di un’analisi meditata su come la politica di quegli anni cercasse a tentoni di essere lungimirante. Una lezione amaramente dispersa nei decenni successivi, sino alla sordità dell’attuale scorcio di secolo, scandito da un sopravvivere alla giornata, capace solo di bruciare soldi, alimentare rendite, senza mettere a fuoco le vere necessità della nazione e le scelte necessarie per soddisfarle. Il ruolo insostituibile dell’Eni nella geopolitica attuale, le opzioni per la Snam, la creazione di valore per le imprese italiane e lo sviluppo di una filiera tecnologica innovativa dovranno essere attentamente valutate, al fine di individuare quale rotta sia più utile tracciare per il futuro tra pragmatismo, coraggio e visionarietà di una società italiana finalmente moderna. Torniamo ora alla SEN, la Strategia Energetica Nazionale proposta dal Governo, che dovrebbe consentire investimenti complessivi per 22,5 miliardi di euro l’anno raggiungendo nel 2020 la cifra globale di 180 miliardi di euro. L’efficienza energetica rappresenta la priorità principale della SEN che, nelle intenzioni, contribuisce al raggiungimento di tutti gli altri obiettivi: costo, competitività, sicurezza, qualità dell’ambiente, crescita. L’obiettivo di riduzione dei consumi di energia primaria atteso nel 2020, conseguente alla realizzazione del programma di misure aggiuntive dirette all’incremento dell’efficienza, appare estremamente problematico da conseguire, perché presuppone un supporto pubblico cumulato di 15-20 miliardi di euro; sostegno pubblico che avrebbe invece un valore strategico perché potrebbe stimolare 50-60 miliardi di investimenti. Nelle attuali condizioni di stagnazione del mercato la riduzione programmata dei consumi, unita all’attesa riduzione dei prezzi, aggraverà le difficoltà delle aziende energetiche, complicando quella crescita sostenibile attraverso lo sviluppo industriale energetico che costituisce uno dei quattro obiettivi principali della SEN. La necessità, prevista dal documento, di rafforzare il sistema di importazione attraverso gasdotti e terminali di rigassificazione, associata all’incremento della capacità di stoccaggio, ha una propria logica solo di fronte a una non riduzione dei consumi. La posizione geografica italiana e le potenziali esigenze europee rappresentano un’opportunità per il nostro Paese di muoversi in questa direzione, con la consapevolezza che, per rendere concreta l’idea dell’hub, è necessaria un’iniziativa a livello europeo, in grado di coordinare le strategie energetiche dei vari Paesi e di sviluppare un’approfondita analisi di costi e di benefici. Relativamente all’incentivazione delle rinnovabili elettriche, le proposte del SEN di contenere i costi in bolletta per i consumatori, accompagnando lo sviluppo delle rinnovabili con incentivi progressivamente ridotti, risulta contraddittoria per diverse ragioni: per il peso degli incentivi in bolletta, per la differenza tra gli incentivi addizionali alle rinnovabili elettriche rispetto a quelli destinati alle rinnovabili termiche e all’efficienza energetica. L’aumento previsto della quota delle rinnovabili elettriche sui consumi - dal 23 al 38 per cento -, conseguente all’incremento della quota annua di incentivi (da 9 a 12,5 miliardi l’anno), la riduzione di 8 punti percentuali della quota di metano, con un minore impatto sui costi di generazione, e il possibile aumento dei prezzi del petrolio, rendono più difficile alleviare il peso in bolletta per famiglie e imprese. «Si ritiene utile che la SEN–ricorda il segretario generale della Flai Carlo De Masi–, sviluppi maggiori approfondimenti e specificità su questo tema, con indirizzi sulle modalità di reperimento delle risorse necessarie e con considerazioni sull’assetto organizzativo e proprietario dell’intero sistema delle reti (AT, MT, BT e rete gas), per le quali ipotizziamo la costituzione di una società delle Reti e della Misura, partecipata dagli enti locali e dalle aziende del settore. È infine necessario portare a una sintesi l’attuale frammentazione di soggetti pubblici che gestiscono il settore, costituendo un polo pubblico cui affidare anche i compiti di coordinamento della ricerca applicata di sistema, di monitoraggio degli obblighi di concessione, di sviluppo di una nuova comunicazione istituzionale sui temi dell’energia. Il nuovo Governo dovrà affrontare il problema con solerzia. Si eviterà così di ripercorrere la sciagurata sequenza del passato caratterizzata da un voluto disinteresse. Il merito di aver tolto la polvere e l’oblio alla strategia energetica nazionale costituisce un primato della politica futura. Non possiamo permetterci un’ulteriore latitanza, né gli sprechi perversi che in questi, come in altri settori, si perpetuano da almeno trent’anni, con effetti di lancinante crudezza per milioni di cittadini e di famiglie. Vogliamo credere il ministro Corrado Passera, al momento di passare le eventuali consegne al proprio successore, possa avere nella mano sinistra i documenti prioritari per garantire quella crescita già troppo evocata del Paese, e tra questi il primo sarà senza dubbio quello energetico. 

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