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Victor Ciuffa: il lavoro, se illuminato dalla passione, è la migliore testimonianza del nostro passaggio terreno

Lucio Ghia

Victor Ciuffa, il nostro direttore, ci ha lasciato in un torrido sabato del mese di luglio con lo spirito del combattente. Il suo ultimo capitolo terreno è stato illuminato, come sempre, dalla continua ed affettuosa presenza della moglie Anna Maria e delle figlie Romina e Giosetta, le quali con esemplare dedizione lo hanno assistito e confortato fino all’ultimo. Victor Ugo Ciuffa, l’autore di tanti libri tra i quali i quattro volumi dell’Italia allo Specchio e «La dolce vita minuto per minuto», ove ha raccontato la propria attività di giornalista nei ruggenti anni 50-60 dello scorso secolo, tanto emblematica da ispirare i grandi Federico Fellini e Marcello Mastroianni nel film «La Dolce Vita». Il redattore, l’articolista, l’inviato speciale in Italia ed all’estero, il caporedattore del Corriere della Sera, ove aveva lavorato per ben 36 anni, l’editore, il direttore di questo mensile da lui fondato, 35 anni fà, non è più tra noi.
La notizia che Victor «era andato avanti», come dicono gli alpini, mi ha colto a Capri, durante una breve parentesi di «alternativa cerebrale», come uso definire quella particolare «astrazione» che quell’isola incantatrice, sospesa tra cielo, terra e mare, sa regalare a chi, come me, le riserva un antico amore. L’intenso dispiacere della notizia ha messo in moto i tanti ricordi di quasi venti anni di amicizia, di stima e di collaborazione, che mi hanno accompagnato nel subitaneo ritorno a Roma per salutare per l’ultima volta questo Amico speciale. Quindi la chiesa di S. Maria in Via in cui si sono celebrate le esequie colma di parenti e dei tantissimi molti amici ai quali Victor era legato: malgrado alla fine di luglio molti fossero già in vacanza, questa straordinaria partecipazione ha dimostrato ancora una volta la fondatezza della tesi di Italo Calvino sulla «capacità umana di sopravvivere alla morte».
Egli sosteneva che muore davvero solo colui che non lascia niente di sé, del proprio trascorso di vita, del proprio pensiero e delle proprie opere, nel cuore di coloro che lo hanno frequentato e conosciuto. Victor ci ha lasciato tanto, e moltissime tra le persone che lo hanno incontrato lo hanno apprezzato, la loro folta presenza a Santa Maria in Via ne costituiva palpabile dimostrazione.
Ho rivisto il suo tipico sguardo, tra l’ironico e l’interrogativo, che manifestava in ogni incontro, la sua costante curiosità, tipica del grande giornalista, per i fatti del mondo, non solo circostante, con i quali veniva a contatto, ho ritrovato le sue analisi lucide e senza orpelli ed i suoi consigli professionali: unisci i dati e tira le conclusioni, ma fai parlare sempre i fatti, una volta che li hai accertati e verificati.
Da oltre venti anni collaboro con la sua rivista Specchio Economico, una collaborazione questa non facile perché Victor manifestava senza mezzi termini il suo pensiero e le sue indubbie qualità umane, il suo rigore professionale prendeva il sopravvento. Se un «pezzo» non andava lo diceva chiaramente, aggiungendo che «il carattere buono nel lavoro non serve, serve quello cattivo».
Ho rivisto la sua espressione di partecipe comprensione della realtà circostante, dei problemi del Paese, della città, delle aspettative del suo interlocutore. Victor dava la percezione della sua profonda esperienza di vita, che gli aveva permesso di «vederne davvero tante», e nel contempo manifestava la lucidità del grande analista attento e consapevole dei fatti nazionali ed internazionali, pronto nell’apprezzarne la portata socio-economica, e di inserirli in una prospettiva aderente all’italico costume, del quale conosceva i limiti e le «prassi» più accomodanti. E qui faceva capolino la sua esperienza politica quale assessore prima, quindi sindaco del «suo» Comune, quello di Montecompatri, «dove il sole sorge prima», come diceva lui.
Nei suoi editoriali con chiarezza condannava abusi e malversazioni, e tendeva a separare gli «annunci» dalla necessità del «fare», era capace di illuminare i fatti spesso poveri e deludenti della cronaca, riaffermando i principi ed i valori dei nostri periodi storici migliori. Per dirla con Jacob Burckhardt, attento «scopritore» del Rinascimento italiano, la superiorità di tale periodo fu determinata dalla coesistenza di tre componenti prioritarie: la libertà creativa proprie dell’individualismo italico, l’arte del governare, il rispetto della storia e della bellezza artistica del nostro Paese.
Queste componenti negli scritti di Victor fanno da sfondo. La grande passione per il proprio lavoro animava il suo quotidiano analizzare le vicende italiane, attento, quindi, ai protagonisti dell’impresa, del fare, dell’innovare, del migliorare. Pronto a segnalare iniziative, conquiste, successi ed affermazioni delle nostre imprese migliori, dei nostri uomini che rappresentavano possibili cambiamenti positivi e benefici per il Paese. Quanto all’arte del governare, tutta da riscoprire, specie oggi, al di là delle affermazioni, delle promesse irrealizzabili e degli «osanna» di coloro che via via salivano sul carro del vincitore, con una certa punta di «nobile disprezzo» per le celebrazioni del potente o del politico di turno, di cui analizzava i messaggi, le contrapposizioni e le vendette, separando la «vulgata» dei progetti e il «sentiment» massmediatico dalle effettive capacità realizzative, non risparmiando critiche, spesso condite da ironica «saggezza contadina», sulle reali possibilità che dal dire si potesse passare al fare.
Infine, il suo attaccamento intenso alle belle storie del nostro Paese, alla profondità della nostra arte, all’altezza della nostra cultura non appena il contesto lo permetteva, emergeva animando la sua penna e i suoi scritti. Il suo sentirsi italiano, con le relative luci ed ombre, gli permetteva di guardare ai «fattacci» della cronaca, alle divisioni faziose, al prevalere spesso di interessi di bottega, tipici della nostra cronaca politica ma anche giudiziaria, in una prospettiva più ampia, che sovente sorprendeva perché propria di «colui che sta più in alto, che siede sulle spalle di un gigante», fatto di conoscenza e di esperienza. Il suo orizzonte è più esteso e profondo, tanto da scorgere, anche se molto lontano, un raggio di sole (talvolta solo interiore) su tante umane miserie.
Se volete, Victor da aristocratico della penna qual era, ma con i piedi ben piantati per terra, riusciva a distaccarsi dal turbinio delle vicende che lo circondavano e dal clamore della piazza, e spesso con la propria ironia stigmatizzava la pochezza dei fatti che l’altra stampa, quella più vicina al potere, quella più sensibile ai vincitori di turno, andava dipingendo. Quindi la «lezione di Victor», talvolta scomoda e sempre impegnativa, risiede per chi scrive, in questo: «Il nostro lavoro, ciascuno nel proprio campo, se è illuminato dalla necessaria passione, costituisce la migliore testimonianza del nostro passaggio terreno».
Le contrapposizioni, le pretese irrealizzabili, le ingiustizie, il malaffare, vanno affrontati mantenendo la schiena dritta e con onestà intellettuale, consapevoli che l’equilibrio tra gli interessi in gioco, da riconoscere ed indicare con chiarezza, va ricercato nell’attuazione dell’antico principio: «Alteri vivas oportet si vis tibi vivere», è opportuno chi tu viva (nell’interesse) per l’altro, se vuoi vivere per te (nel tuo interesse).
Abbiamo perso con Victor un amico speciale, un punto di riferimento privilegiato, un analista prezioso, ma ne custodiamo nei nostri cuori la bella testimonianza che ha saputo lasciarci.   

Tags: Ottobre 2016 Lucio Ghia Victor Ciuffa Dolce Vita

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